Genitori Tossici #006 Iene e Umorismo Reazionario

Riconoscere e superare l’umorismo reazionario

“Bastoni e pietre possono spezzarmi le ossa, ma le parole non possono ferirmi”.

Sciocchezze. Nomignoli offensivi, commenti denigratori e critiche sminuenti, stimolano i bambini a creare un immagine negativa di sé stessi. Ciò può avere conseguenze drammatiche.

Secondo Susan Forward, diverse istituzioni civiche si sono accorte che, dietro quella tradizione, che considera la disciplina dei bambini una questione privata e da gestire in famiglia, si nasconde una diffusa tendenza, all’abuso fisico e sessuale.

Tali istituzioni riconoscono quindi la necessità di nuove procedure, per affrontare questa tendenza.

Ma per il bambino che subisce abuso verbale, neanche le istituzioni più interessate al problema, possono fare qualcosa.

Per questo motivo, la realtà è che quei bimbi devono affrontare quel problema, da soli.

La sindrome di LinkedIn

Questo è un dato molto interessante, soprattutto se lo consideriamo assieme a quella che io chiamo la sindrome di LinkedIn.

Molti professionisti delle scienze umane infatti, comunicano su questi temi con la stessa spocchia “professionale” che dilaga sul social network dedicato al business e al lavoro:

  • sminuiscono il dibattito, quando è alimentato da persone non esperte,
  • denigrano i neofiti,
  • dileggiano i non specializzati.

Parteciparvi col proprio contributo qualificato sarebbe un atteggiamento molto più costruttivo e meno snob. Certo, a quel punto declamare la propria competenza sfoggiando i propri titoli non è sufficiente, perché bisogna saper entrare nel merito, e anche farlo in modo tale, che il messaggio arrivi alla mente dei destinatari.

Molti professionisti delle scienze umane che comunicano sui social, sembrano dimenticarsi che, in un mondo dove l’1% della popolazione globale detiene il 45% della ricchezza, la stragrande maggioranza di chi ha più bisogno di aiuto, non può pagare 150€ a seduta per ottenerlo. E quindi si deve arrangiare a capirci qualcosa, con quello che ha:

  • La condivisione,
  • lo scambio di opinioni ed informazioni,
  • il dibattito.

Quest’ultimo nel tempo può diventare anche molto informato, anche se non specialistico. E questo quando le cose vanno bene, perché ci sono persone talmente bisognose d’aiuto, che non si possono permettere nemmeno questo.

Credo sia importante rimarcarlo con qualche dato aggiuntivo:

  • Come ho già detto l’1% della popolazione detiene oggi il 45,6% della ricchezza globale.
  • La metà della popolazione mondiale, quella che è più povera, si spartisce lo 0,75% della ricchezza globale. Sto dicendo che mezzo mondo sopravvive con poco più di niente.
  • 81 persone ricchissime, detengono più ricchezza di metà della popolazione mondiale.
  • E i patrimoni di appena 10 miliardari, superano l’ammontare di ricchezza di 200 milioni di donne africane messe insieme.

Dati Oxfam 2023

Ma cosa c’entrano questi dati con i temi degli abusi verbali e indiretti?

A parte che la negazione alla dignità io la reputo un evidente abuso, rispondo con una domanda: 

non è che in occidente, siamo tutti portatori “sani” della mentalità responsabile, di questa fucina di dolore, in esponenziale recrudescenza?

Una mentalità che a mio avviso si esprime anche attraverso la sindrome di LinkedIne che stimola, proprio a livello di modelli di business, l’istituzionalizzazione di abusi verbali e indiretti.

Come nelle famiglie di alcolizzati di cui abbiamo parlato nello scorso video, siccome il dinosauro che abbiamo in casa è troppo pericoloso da affrontare, facciamo fintache sia un elemento sano e perfettamente normale della nostra famiglia. Ma non è affatto così.

E’ un elemento tossico. E per rimuovere questa realtà dalla nostra coscienza, dobbiamo travisare le nostre stesse emozioni e percezioni. Confondendoci!

Non a caso il vero tabù, oggi come oggi, è la redistribuzione della ricchezza. Che è come parlare della riduzione della sofferenza umana.

Da questa prospettiva si può facilmente dedurre che l’economia abbia anche un valore spirituale.

Perché il superamento della sofferenza ha a che fare con lo sviluppo, sia di una persona che di una collettività.

Dopo questa digressione atta a descrivere meglio il nostro contesto di culturale globale, torniamo al tema più specifico dell’abuso verbale.

Tutti i genitori scivolano occasionalmente con delle parole dispregiative nei confronti dei loro figli.

Ciò diventa un problema, nel momento in cui gli attacchi verbali all’aspetto, all’intelligenza alla competenza e al valore del bambino come essere umano, diventano frequenti, o ancor peggio sistematici.

E magari sistematici come certe forme di Malthusianesimo ritornate di moda proprio presso quell’ 1% della popolazione che detiene il 45,6% della ricchezza.

Nell’ambito dell’abuso verbale da parte dei genitori, esistono due grandi macro categorie:

  • L’abusatore diretto, che degrada platealmente e ferocemente i propri figli. Li appella come stupidi, inutili, brutti; dice che vorrebbe non fossero mai nati, ignorando i loro sentimenti e disinteressandosi degli effetti a lungo termine, di questo assalto all’immagine, che hanno di sé stessi.
  • L’abusatore indiretto, che preferisce raffiche di prese in giro, sarcasmo, soprannomi offensivi e critiche subdole. Un bulletto che spesso nasconde l’abuso dietro la facciata dell’umorismo, facendo battute del tipo “Guarda che bella giacca… per un clown” o “il giorno in cui hanno distribuito l’intelligenza, mi sa che tu eri assente”.

Ecco, se il bambino, o qualsiasi altro membro della famiglia, si lamenta, l’aggressore lo accusa puntualmente di mancanza di senso dell’umorismo. Si difende con frasi tipo: “Guarda che lui lo sa che sto solo scherzando”; affermando così un contesto in cui la vittima stessa è complice dell’abuso che subisce.

Quest’ultimo è un aspetto che ti chiedo di tenere bene a mente nel corso di questo ragionamento.

L’affermazione di un contesto in cui la vittima è complice dell’abuso che subisce

La storia di abuso che sto per raccontarti non è stata perpetrata da un genitore nei confronti di un figlio, ma la ritengo comunque attinente, perché se ne possono individuare gli stessi rapporti di forza.

L’abuso, secondo me, è stato perpetrato da Le Iene, nota trasmissione televisiva italiana, ai danni di due categorie: i nomadi digitali da un lato e i comici dall’altro.

Si, sto dicendo che per me Eleàzaro Rossi, il comico che ha fatto quel monologo mordace il 7 febbraio 2022, è parte lesa tanto quanto le coppiette di nomadi digitali.

Quelle che erano state invitate nel servizio e si sono poi trovate oggetto della sua satira sociale.

E per capire meglio quello di cui parlo, ti invito a immaginare le parti lese come fratelli di genitori separati: 

  • da un lato le coppiette di nomadi digitali, figlie dei social network,
  • e dall’altro Eleazaro Rossi, figlio di un format televisivo.

Le Iene e il mondo dei social sono i genitori separati, sposati sull’altare dell’intrattenimento. E assumono questo ruolo per un motivo molto semplice:

il sostentamento dei figli, dipende da loro. E’ da loro che colano giù i compensi e le sponsorizzazioni.

Allora immaginate papà format che chiama il piccolino e gli dice:

“Eleazaro, ho invitato i tuoi fratellini e sorelline qui, per oggi pomeriggio. Se tu me li perculi a buco, e dici che è una tua iniziativa, ti compro la Peg Perego con la batteria truccata”.

Ma voi ditemi perché, nel mondo vero, un monello come Eleazaro dovrebbe dire di no al suo “papà”, quando la proposta è così ghiotta:

  • Trollata libera e profitto,
  • approvazione dell’autorità.
  • Rock’n Roll!

Ecco il link al pezzo di Eleazaro, che ti consiglio.

Ma papà format non si è limitato a questo. Ha invitato anche tutti i compagni di classe dei suoi figli ad assistere alla scena e, dopo la performance di Eleazaro, le classi si sono divise.

C’è chi si è schierato a sostegno di Eleazaro, visto come un simpatico monello, e chi coi suoi fratelli ospitati, che hanno subitoun abuso e la beffa di esserne stati persino complici.

Possibile che nessuno noti quanto sia umiliante il modo in cui quel babbo esercita il suo potere su tutti i bimbi che lo circondano, e in primo luogo su suo figlio: ridotto a pupazzo del suo machiavellismo sociale?

E questo perché nessuno è allenato a fare una analisi di contesto?

Nel mondo che mi piace:

  • la comicità ha la libertà di dire quello che le pare e come le pare, senza censura;
  • chi si ritrova oggetto di satira è libero di esprimere i propri sentimenti a riguardo ed è bene trovi qualcuno ad ascoltarlo;
  • nei fortunati casi in cui ne deriva un dibattito pubblico, la capacità intellettuale delle persone è ben capace d’individuare l’esercizio reazionario dell’umorismo, per rivolgersi alle questioni di senso.

Il mondo però è quello che è, e soprattutto, non è come mi piacerebbe che fosse.

A mio modo di vedere, in questo caso, più che di un esercizio reazionario dell’umorismo, si può ben parlare di uso reazionario dell’umorista.

Per capire cosa intendo è utile recuperare un certo aplomb e prestare attenzione a tutto il contesto in cui la vicenda si svolge.

Perché, come ogni bravo comico sa, il contesto è tutto.

Se ci fosse comprensione del valore del contesto, nessuna manipolazione potrebbe durare a lungo. E se esiste una buona palestra mentale per lo sviluppo di questo “muscolo”, quella è proprio il pensiero comico.

C’è un’autore statunitense che, nel suo libro Stand-Up Comedy, Step By Step, descrive benissimo il pensiero comico, attraverso una griglia di domande atta a generare battute.

Questa griglia ha il suo focus su un argomento a scelta e la lista di associazioni mentali legate ad aspetti di quel dato argomento, che ci infastidiscono.

Per semplificare:

  1. Argomento
  2. Fastidi
  3. Idee associate ai fastidi
  4. Elaborazione

Ma vediamola più nel dettaglio attraverso una tabella di domande guida.

Fastidi

Associazioni

Premessa della battuta

Premessa dell’ impostazione

Connettore?

Reinterpretazione

Seconda storia

Battuta

Cosa t’infastidisce in relazione all’argomento?

A cosa ti viene naturale pensare in relazione a questo?

Quali opinioni negative hai rispetto a questo?

Qual è l’opinione opposta?

qual è l’elemento che te lo fa pensare?

Quali altre interpretazioni possibili ci sono per questo elemento?

Quale situazione specifica può spiegare la tua reinterpretazione?

In aggiunta all’impostazione, qual è l’informazione che rivela la seconda storia?

Sulla base di questa griglia diventa molto più facile fare l’ingegneria inversa del pezzo comico di Eleazaro.

Ingegneria inversa del pezzo di Eleazaro sui nomadi digitali:

  1. Cosa t’infastidisce dei nomadi digitali? Che sembra tutto bello. Che nascondono il fatto di essere supportati economicamente da persone abbienti.
  2. A cosa pensi in relazione a questo? Che siano figli di papà, e che siano molto più litigiosi fuori dalle telecamere.
  3. Quali opinioni negative hai rispetto a questo? Penso che siano dei bugiardi patologici circa la sostenibilità della loro scelta di vita.
  4. Qual è l’opinione opposta a questa? Che siano dei moderni San Francesco.
  5. Qual è l’elemento che te lo fa pensare? La millantata comodità del wc girevole in camper e l’ostentata bellezza di una vita di coppia, vissuta a lungo in uno spazio angusto.
  6. Quali altre interpretazioni possibili ci sono per questi connettori? Mentono, per nascondere uno stile di vita che è parassita di quello tradizionale.
  7. Quale situazione specifica può spiegare la tua reinterpretazione? L’evidente scomodità di un water girevole, la conclamata realtà statistica della diffusione della violenza domestica, lo sfruttamento degli operai che occorrono per realizzare gli oggetti di cui si servono per fare la vita che fanno.
  8. In aggiunta all’impostazione, qual è l’informazione che rivela la seconda storia? Piuttosto che accettarli come moderni San Francesco brevetto uno scivolo che… non vi spoilero la battuta, andatevi a guardare il pezzo. Il water girevole è comodo solo se hai due micro machines al posto dei testicoli. E il camper è comodo solo se non devi scappare da un partner che alza le mani.

Ne avrà scritte a bizzeffe di questi ribaltamenti, con questo metodo o con altri, la maggior parte li avrà scartati e scelto quelli d’immediato impatto emotivo.

Impatto emotivo che c’è stato, quindi Eleazaro il suo lavoro l’ha fatto bene, secondo me.

L’umorismo salva vita

Per quanto riguarda la griglia di domande, io la trovo anche un ottimo modo di elaborare i traumi. Una griglia che può tornare utile a tutti quelli che in qualche modo si devono arrangiare di fronte alle difficoltà, e possono quindi elaborarle ricavandone un sorriso.

La consiglio a tutti i nomadi digitali che trovano ci sia qualcosa di sbagliato nel pezzo di Eleazaro e a tutti i figli che si trovano a subire abusi mascherati da umorismo.

In fin dei conti uno degli obiettivi più nobili dell’umorismo è quello di appianare gli squilibri di potere. Per questo il suo utilizzo per accentuarli è gesto piuttosto bieco e subdolo.

Però state attenti a fare i simpatici sui social, perché non si gioca ad armi pari contro la televisione italiana.

Se siete un poco figli di YouTube, dovete ricordarvi che su certe cose somiglia a un genitore severo.

Se ambite, o volete conservare la monetizzazione dei vostri video, le parolacce e gli insulti non sono ammessi. “Il-tuo-tubo” in verità è di proprietà di altri, e se non stai alle sue regole, ti tocca pagarne le conseguenze.

Ma almeno il quadro della relazione con la piattaforma è ben chiaro sin dall’inizio, e se hai intenzione di dire tutto quello che ti pare in un social, allora puoi guardare a qualche alternativa in questo contenuto.

Chiarire il contesto della relazione asimmetrica

Tu puoi non essere d’accordo con le regole di YouTube, ma se vuoi starci dentro ti tocca di rispettarle, e questa è una cosa che accetto.

Le alternative ci sono, possono coesistere, quindi è una questione di scelta individuale.

Quello che mi chiedo è:

  • il modo in cui il format “Le Iene” tratta le persone su cui fa dei servizi, è rispettoso?
  • Li avevano avvisati, questi influencer nomadi, che avrebbero potuto essere massacrati, da un comico?
  • Li avevano preparati a una possibile micidiale denigrazione del loro stile di vita, del loro brand?

Non lo so. Però capisco che deve essere stato frustrante, lato nomadi digitali, ricevere da un lato una sorta di love bombing verso il proprio stile di vita, ricevendo addirittura l’interessamento della televisione italiana, e un minuto dopo il massacro su commissione.

Beninteso, il format “Le Iene” non è genitore di nessuna di queste persone, e quindi non è tenuto a un atteggiamento tutelante, soprattutto considerando come si chiama. Ma se lo fosse, secondo me, sarebbe un genitore tossico.

DI certo è un soggetto che offre una delle occasioni più sane in cui esercitare il proprio pensiero comico.

Se trovi io sia riuscito a stimolare qualche ragionamento, a muovere qualche buona idea, puoi condividerlo nei commenti. Io ne sarò gratificato e mi darà slancio per la creazione di altri contenuti.

Buone cose e alla prossima!Gagliardo eh!

Riconoscere e superare i condizionamenti dei propri genitori

Superare i condizionamenti ricevuti dai genitori

Aquila austera

Aquila Reale

Ciao.

Io sono Alessandro e questo è VALOREL: il luogo dove esploriamo il valore relazionale.E dato che la matrice di ogni relazione dipende, dal rapporto coi genitori, oggi parlo di genitori tossici.

Come? Ispirandomi a un testo di Susan Forward, che si chiama “Toxic Parents”.

Genitori tossici insomma.

Ma in che senso, quello delle droghe? No. O meglio non solo.

Il primo passo verso la guarigione: riconoscere le dinamiche tossiche

Toxicity

Il questionario della Forward, per capire quanto sei ferito

Questionario

Il rapporto coi genitori durante l’infanzia:

  • Ti hanno chiamato con nomi offensivi?
    • Ti hanno picchiato con cinghie, spazzole o altri oggetti?

    I tuoi genitori si sono ubriacati o hanno fatto uso di droghe?

    • Hai dovuto prenderti cura dei tuoi genitori a causa dei loro problemi?

    I tuoi genitori ti hanno fatto qualcosa che doveva essere tenuto segreto?

  • Hai avuto paura dei tuoi genitori per la maggior parte del tempo?
  • La seconda parte del questionario riguarda…

    Ti ritrovi in relazioni distruttive o violente?

  • Ti aspetti il peggio dalle persone? Dalla vita in generale?
  • Hai paura che se le persone conoscessero il vero te, non gli piaceresti?
  • Ti arrabbi o ti rattristi senza una ragione apparente?
  • È difficile per te rilassarti o divertirti?
  • Il tuo rapporto coi genitori, da adulto.
    • Molte delle tue principali decisioni di vita si basano sull’approvazione dei tuoi genitori?
    • Hai paura di non essere d’accordo con i tuoi genitori?
    • I tuoi genitori ti manipolano con i soldi?
    • Ritieni che sia tuo compito, migliorare le loro condizione?
    • Credi che un giorno, in qualche modo, i tuoi genitori cambieranno in meglio?

    Le erbacce delle relazioni: come liberarsene

    Erbacce

    Che tu sei completamente libero o libera da qualsiasi responsabilità per quanto riguarda quello che ti è stato fatto quando eri un bambino o una bambina indifesa

  • Chiaro che è un lavoro che ha un prezzo emotivo da pagare.Perché una volta eliminate le difese, scopri sentimenti di rabbia, ansia, confusione e soprattutto dolore.La distruzione dell’ immagine dei genitori può suscitare potenti sentimenti di perdita e abbandono.Perciò è opportuno proseguire con calma.Il processo di diminuzione del condizionamento negativo dei genitori è graduale, ma alla fine libera la tua forza interiore.Ma allora, per cominciare ad addentrarci nel tema, come fanno certi condizionamenti a radicarsi in maniera così ostinata in una persona, anche quando sono disfunzionali?

    Per capirlo parliamo degli dei degli antichi greci.I quali guardavano giù dal Monte Olimpo e giudicavano tutto ciò che le gente faceva.Se non gli piaceva, punivano.Irrazionalmente, arbitrariamente e per puro capriccio, trasformavano qualcuno in una eco o lo condannavano a spingere un masso per l’eternità.La loro onnipotenza e la loro imprevedibilità hanno seminato paura e confusione tra i loro seguaci mortali.E questo somiglia molto a una relazione tossica tra genitori e figli.Perché un genitore imprevedibile somiglia a un dio spaventoso, agli occhi di un bambino.Il genitore è come un dio per un bambino piccolo, in quanto senza di lui si ritrova senza amore, senza protezione, senza cibo e riparo.Una sorta di fornitore onnipotente senza il quale ha scarsissime possibilità di sopravvivenza.

    E dal momento che niente e nessuno giudica quel genitore, un bambino piccolo assume che egli sia perfetto.Mano a mano che il mondo del bambino si allarga dalla culla, questi incontra sempre più incognite.E per affrontare questo ignoto crescente il più serenamente possibile, sviluppa il bisogno di sentirsi protetto.E la percezione di questa protezione, poggia i propri pilastri nell’idea che i genitori sono perfetti.

    E’ a partire dai 2 e 3 anni che il bambino comincia a fare i primi esperimenti per affermare la sua indipendenza.Comincia a dire di no per esercitare un certo controllo sulla sua vita.Abbozza delle piccole lotte per stabilire la sua volontà e sviluppare un’identità unica.Il completamento del processo di separazione ha bisogno di una conflittualità che trova il suo apice durante la pubertà e l’adolescenza.Dove il ragazzo o la ragazza si confronta attivamente coi valori, i gusti e l’autorità dei genitori.

    Questi cambiamenti ingenerano ansie nei genitori.Quelli che le sanno gestire, tollerano l’emergente indipendenza del ragazzo o ragazza.E nei casi più fortunati, addirittura, riescono a incoraggiarla.Ma una genitorialità tossica non sa gestire bene l’ansia, e perciò interpreta sia i primi esperimenti d’indipendenza, sia la ribellione adolescenziale, sia le differenze individuali, come attacchi personali.Quindi va sulla difensiva, cerca di rinforzare la dipendenza e l’impotenza del figlio.E nella convinzione di agire nel suo migliore interesse, in realtà ne impediscono un sano sviluppo.Il risultato del loro agire, anche se a loro sembra impossibile, è sabotaggio.Il loro arsenale di negatività stronca sul nascere qualsiasi idea di indipendenza.E per questo toglie spazio vitale all’autostima del figlio.Non importa quanto questi genitori credono di avere ragione, il loro interventismo è un aggressione che lascia i figli sconcertati.

    E ciò con l’avallo delle nostre religioni e inculturazioni, dove se è accettabile esprimere rabbia, nei confronti di mariti, mogli, amanti, fratelli, capi e amici, rimane quasi sempre un tabù affrontare i genitori, in modo assertivo!”Rispondare indrio”, “ rispondere indietro”, in veneto, ha una accezione fortemente negativa.Secondo la saggezza convenzionale, i nostri genitori hanno il potere di controllarci semplicemente perché ci hanno dato la vita.

    La paura ereditaria

    Paura

    Concetto chiave

    Concettochiave

    Falsi assunti

    Falsi assunti

    “Io sono cattivo e i miei genitori sono buoni.”

  • Sono false convinzioni! Ma sono così influenti che possono sopravvivere a lungo, anche dopo la fine della dipendenza fisicadai genitori.Ed hanno la funzione specifica di tenere viva la fiducia nei genitori e con essa la percezione di un certo senso di protezione, di sicurezza.Questo permette al bambino, che ormai è diventato adulto, di continuare a evitare di affrontare, il caos e il dolore, che derivano dalla realtà che i genitori lo hanno aggredito, proprio quando era più vulnerabile.Tradendo il ruolo di protezione che avrebbero dovuto assolvere, nel momento in cui questo ha provocato più danni.Questo è un passo molto importante da compiere, per il proprio bene e quello di chi ci vive intorno.Un passo che richiede molto coraggio.Quindi ti invito a restare sul pezzo diventando un Patreon, per supportare ulteriori approfondimenti sul tema.

Śūnyatā e Manjushri – Le muse di Valorel

Sunyata e Manjushri

Śūnyatā e Manjushri – Le muse di Valorel

Introduzione

Ciao, io sono Alessandro e questo è Valorel.Un canale dove si parla del valore relazionale.

Mi trovi anche su Spotify, cercando Valorel Podcast. E c’è una sorpresa alla fine di questo contenuto. Quindi ti consiglio di seguirlo per intero.

Oggi ti parlo dei principi che fanno da musa ispiratrice di questo canale. Sigla.

Nessun valore intrinseco. Cos’è l’ignoranza?

Hai mai provato a fare finta che niente e nessuno abbia valore di per sé?

Hai mai provato a fare finta che il valore, qualsiasi valore, sia un’apparenza impermanente, basata su sinergie momentanee?

Forse ti fa piacere sapere che alcune scuole buddhiste lo fanno da secoli, perché secondo loro l’ignoranza non è tanto, quando non sai una cosa.

L’ignoranza è quando attribuisci così tanto valore a qualcosa o a qualcuno, da non vedere più i contributi che vi afferiscono, dalle sue sinergie, dalle sue relazioni.

Ecco che fare finta che qualcosa o qualcuno, non abbia alcun valore in sé e per sé, stimola curiosità rispetto a quei contributi, quelle sinergie, quelle relazioni, che vi afferiscono valore.

Ed ecco perché i miei canali si chiamano, Valorel, Il Valore RelazionAle.

E’ un poco un tributo a questo aspetto della loro mentalità, col quale mi sento affine.

Manjushri

Se guardi sul logo del canale, noterai che all’altezza della fronte del mio avatar, appare una figura simbolica, della cultura orientale.

Si chiama Manjushri ed è un bodhisattva.

Una sorta di santo. Quindi è una persona che ha già raggiunto la liberazione.

E pur avendo la possibilità di interrompere il suo ciclo di morte e rinascita, una interruzione chiamata Nirvana, Manjushri ci rinuncia, mosso da compassione verso gli altri esseri senzienti.

E allora continua a reincarnarsi, e perciò anche a soffrire, allo scopo di aiutare gli altri esseri senzienti a liberarsi.

Ma liberarsi da cosa? Ma dalla sofferenza.

Liberarsi dalla sofferenza, non dal dolore. Perché è un distinguo utile?

Perché il dolore lo senti adesso e tra un secondo è andato via.

La sofferenza invece tende a disfare i bagagli dentro di te, e a prendere la residenza.

E perciò la sofferenza diventa condizionamento.

  • Detto questo, cosa posso dire di Manjushri, chi è?
  • Un buon samaritano?
  • Un paladino della lucidità mentale?

Per me Manjushri è più un pro memoria, una scorciatoia verso significati articolati, quindi un simbolo degli stessi.

Manjushri per me è un’euristica.

Uno dei motivi per cui mi fa simpatia è che è un bodhisattva irato.

E’ un borderline in una cultura molto legata al concetto di non-violenza, quale è la cultura buddhista.

Sembra che Manjushri non possa proprio trattenere la sua ira perché, in qualche modo, fa parte della sua energia più profonda.

Reprimerla sarebbe controproducente.

E allora la sua ira acquisisce una funzione, un’intenzione, uno scopo, ed è rappresentata dalla sua spada, che è votata a distruggere l’ignoranza.

Distruggere quell’ignoranza intesa come attaccamento a una qualche verità impermanente.

Secondo quel meraviglioso principio per cui la mappa di un territorio è una cosa ben diversa dal territorio.

O secondo un altro principio a me molto caro, secondo cui la verità è la madre degli imbecilli.

Quindi io provo una grande simpatia per la figura di Manjushri.

Il quale, nello sforzo di risolvere delle forti tensioni interne,  si ritrova a svolgere un compito così importante.

  • Distruggere l’ignoranza perché è la causa della sofferenza e quindi dei condizionamenti.
  • Distruggere concetti e credenze, per compassione.

Che non è compatire, ma è comprendere la condizione altrui. Ed esserne pure in qualche modo partecipe.

  • Distruggere blocchi mentali, rigidità e prese di posizione, per favorire la vita, lo scambio di informazioni, le interconnessioni, il fluido evolversi dei processi.

E non per vocazione mortifera!

E senza mai fare quell’errore atroce, di prendersi troppo sul serio!

Perché li è un attimo e la spada diventa un manganello. E dove il manganello picchia, l’ignoranza cresce.

Infatti mi piace immaginare Manjushri, dotato di una caustica ironia e auto-ironia! Dotato di quell’umorismo rivelatore di contesti impliciti.

Śūnyatā – Vacuità

Questo guardare alle cose, non come prive di valore, attenzione! Ma come prive di valore intrinseco, nella cultura buddhista è detto Śūnyatā.

Che tradotto suona un poco come vacuità.

E se serve fare questo esercizio, cioè guardare alla vacuità delle cose, per riuscire a conservare la lucidità della propria mente,

allora come si fa a conservare la stessa lucidità guardando all’essere umano,

dal momento che esso tende ad attribuirsi un valore intrinseco, che chiama sé, anima, ātman?

Come lo identifichiamo quel punto al centro del cerchio, se il cerchio è l’essere umano?

Come ci comportiamo rispetto al fatto che, se non fosse per la circonferenza che lo circonda, noi non saremmo minimamente capaci di accorgerci dell’esistenza del centro, né di avere la minima idea da dove cominciare a cercarlo?

centro e circonferenza

Un tale in passato ha proposto di chiamarlo, “non-centro”. Perché il centro non è che esista in sé e per sé.

E quindi chiamarlo non-centro è uno stratagemma, per evitare di attribuire a quel punto in mezzo alla circonferenza, una entità, una istituzionalizzazione, un’identità, una etichetta.

  • Ha proposto di chiamarlo non-centro per potersi ricordare che quali che siano i nomi e gli attributi che gli conferiamo, lo facciamo per convenzione, attraverso un atto convenzionale.
  • Ha proposto di chiamarlo non-centro per evitare di inventarsi un “Centro” con la C grande, che nella realtà non trova riscontro neanche a cercarlo coi cani.
  • Per evitare di confondersi rispetto alla realtà di quel centro, la quale è semplicemente un’astrazione.

Ma per precise che siano le spiegazioni che ha dato quel tale, rimaniamo esseri umani con dei bisogni da soddisfare.

Per cui prima o poi saltano fuori altri tizi o da soli o in gruppo, che prendono il significato di quell’ astrazione, la mettono sotto steroidi, e la propongono al un pubblico in modo da trarne un profitto.

E si badi bene, il problema non sta nel trarne profitto, ma nel mettere le astrazioni sotto steroidi.

Quindi ci ritroviamo con questi personaggi e i loro megafoni che vanno in giro dicendo:

“Il centro vale di più della circonferenza”!

E qualcun altro risponde con un altro megafono

“No è la circonferenza che vale più del cerchio”!

E un altro ancora

“Vi sbagliate tutti, è il foglio in cui sono disegnati a fare veramente la differenza.

E poi se ne aggiunge un quarto che dice:

“E la geometria nel suo insieme allora dove la mettete, cosa sarebbero il foglio, il punto e il cerchio se non ci fosse la geometria”!

E allora ecco che arriva il quinto col suo concetto di non-centro:

“Calmi! Calmi tutti! Di per sé, qui nessuno conta un cazzo, è chiaro? Me compreso! Quindi sul valore nostro e delle cose, bisogna che negoziamo di volta in volta, tenendo conto anche del contesto”.

Ed è qui che di solito, quelli che prima litigavano fra loro si mettono d’accordo, puntano tutti il dito contro quest’ultimo a dichiarare:

“Quel tizio li e il suo messaggio sono pericolosi, sono nichilisti”.

Può darsi che la sua sia una visione nichilista. Ma può anche darsi che la mente di tutti gli altri concepisca dio come ultimo rifugio del loro ego.

Anātman e il distacco

E allora a cosa serve sto non-centro, sto anātman, qual è la sua funzione?

Il concetto di anātman è nato in oriente come strumento di distacco.

  • Distacco dal concetto di ātman (sé, anima), in modo da ricordarsi che è un concetto sulla realtà, non una realtà. È un’astrazione.
  • Distacco dalle proprie concezioni di sé.
  • Distacco dalle proprie concezioni di dio.
  • Distacco dalle proprie concezioni sulla realtà, in genere.

Perché quando la mente si aggrappa a tali concezioni impermanenti, a tali astrazioni, si produce il seme di una forma di sofferenza che è legata agli stati condizionati dell’esistenza.

Ma stati condizionati da che cosa? Beh dalle concezioni stesse!

Il condizionamento da “concezione della realtà”, è una delle forme di sofferenza più difficili da riconoscere.

Perché è come portare gli occhiali da sole senza saperlo.

Gli occhiali di Antonello

Quindi il mondo ti appare più scuro, ma in realtà sono le tue lenti ad essere scure.

Tu ti illudi di vedere una qualità, nel mondo, e invece è il mondo che ti rimanda la qualità delle lenti con cui lo guardi.

Il concetto di anātman, di non sé, di non dio quindi, non è la negazione di alcunché.

Piuttosto è uno strumento, che serve a conservare la lucidità mentale necessaria, il distacco, per riuscire a riconoscere le dinamiche di tale sofferenza, chiamata Samkhāra Dukkha“.

E’ quindi uno strumento di disidentificazione, persino dai concetti ai quali tendiamo ad aggrapparci.

E’ un prendere le distanze dalle proprie astrazioni, atto a darci l’opportunità di una prospettiva sulle astrazioni stesse, sugli assunti che ne derivano e sulle decisioni che prendiamo sulla loro base.

Un modo per riuscire a guardarsi dentro, e a riconoscere che, quali che siano i contenuti che vi si trova, non si è quello.

E che quindi si è e si può essere anche Altro.

Uno strumento per fare esperienza di quel qualcosa che, se esiste davvero, allora vive oltre la nostra mente, e che se chiamassimo sé, lo imprigioneremmo in una concezione, del sé.

Un qualcosa che però potrebbe anche non esistere. E che a contemplare questa possibilità, la nostra vita non dovrebbe minimamente esserne sconvolta.

Ecco perché invece è stato chiamato non-sé, anātman.

  • Per poterne parlare senza farci ricattare dal linguaggio.
  • Per potercisi riferire in un discorso, ma senza ridurlo a un trastullo del nostro ego.

Si sto dicendo che le concezioni sull’anima sono l’ennesimo artificio con cui l’ego cerca di darsi un tono spirituale.

Insomma il concetto di anàtman servirebbe a ricordare che, quale che sia quello che guardiamo, indossiamo delle lenti.

Infatti bisogna prendere i paroloni con le pinze, perché è forte la tentazione di usare la mente per approcciare l’imponderabile.

Ma a ponderare l’imponderabile si finisce col confondersi…e parecchio!

Perché io posso anche esclamare le parole “Intero infinito universo”, ma questo non significa certo che la mia mente possa diventare essa stessa l’intero infinito universo.

E se ci pensi questo problema si ripresenta ogni volta che esprimiamo un concetto imponderabile tipo:

  • anima,
  • amore,
  • spiritualità,
  • dio,
  • brand.

Se poi uso gli aggettivi per piazzare nel discorso una palese incongruenza, come quella fra intero e infinito, vuol dire che ho proprio deciso di pretendere la licenza poetica!

Giacomo Leopardi

E se ti guardi intorno, non ti sembra pieno di boriosi e pretesi “Leopardi” la fuori?

Il mercato delle seghe mentali è forse ad apice perpetuo?

Se vogliamo emozionare, emozionarci, suggestionare o suggestionarci, illudere o illuderci, queste parole suggestive sono idonee allo scopo.

E vanno benissimo se sei un cantautore, un poeta!

Ma se vogliamo relazionarci agli altri, fornire loro strumenti operativi per migliorarsi, laddove migliorarsi significa identificare schemi disfunzionali e crearne di funzionali,

allora sono parole che confondono, perché reificano, cosificano e assolutizzano concetti, che di fatto sono completamente imponderabili, e a cui per questo ognuno attribuisce necessariamente un significato diverso.

Perché diverse sono le esperienze che ha fatto nella sua vita e che usa per afferire significato a quei concetti.

Sono parole belle da sentire, altisonanti, “satviche”, qualcuno potrebbe persino dire.Ma sul piano operativo valgono meno di un rutto. Perché almeno, il rutto è congruo alla sua funzione, digerire.

I paroloni esotici sulla spiritualità invece sono incongrui con una sana spiritualità.La quale è atta a smettere di girare come criceti, nei labirinti celebrali che non hanno nessuno sviluppo pratico.

Il prezzo dell’attaccamento

E come fai a scendere dalla giostra, se sei attaccato alle parole che usi?

Attaccamento alle parole:

  • Uguale, ostacoli alla reciproca comprensione;
  • Uguale, rendere permanente ciò che è impermanente;
  • Uguale, illudersi riguardo a una concretezza e ad una oggettività che di fatto sono soggettive esse stesse. Sono relative.

Se ti attacchi alle parole che usi, le investi di significati assoluti, e favorisci la perpetuazione dell’incomprensione e della confusione.

Se non te ne liberi, il risultato più probabile è che l’unica modalità relazionale che ti resta sia la coercizione sotto mentite spoglie.

E quindi giù di demonizzazioni del punto di vista altrui. Giù di magnificazione del proprio punto di vista.

  • Il significato della parola anātman inteso come trucchetto per ingannare lo strapotere dell’ego, che ci abita la mente e il linguaggio;
  • la parola non-sé, intesa come tentativo di creare un lessico per l’inter-operabilità dei concetti;

penso potrebbero essere molto utili nelle relazioni.

Cosa sto dicendo?Che quale che sia il concetto che vuoi esprimere:

  • se esso per te è una bandiera, una forma di appartenenza,
  • se quel concetto per te è come un luogo da difendere,

allora difficilmente potrà risultare valido per un’altra persona, che in quel senso di appartenenza non si riconosce.

Quindi, se non vai oltre il tuo punto di vista, dovrai escludere chi non è disposto ad abitarlo.

Perché questa è una storia che si ripete e rigorosamente senza un lieto fine?

Perché quando fai di un valore una bandiera, non ti chiedi:

  • Perché lo stai facendo?
  • Quali bisogni stai cercando di appagare?
  • Se c’è forse un modo meno impattante di soddisfarlo?

Perché in quel momento non governi sui tuoi bisogni, sono loro a governarti.

Senza concepire le dinamiche di questa sorta di coproduzione condizionata del significato, di origine interdipendente del valore delle cose, di pratītya-samutpāda, in sanscrito,

e che per me, beninteso, uno può chiamarla anche Osvaldo, se gli è utile,

ciò che resta alla fine di ogni sforzo relazionale, alla fine di ogni conflitto, è solo una mortifera ed egoinomane competizione. Perennemente assoggettata alle nostre ferite, bisogni e pulsioni infantili.

E infatti…guardati un poco intorno.Sul lungo periodo, ci sono forse esseri umani che trionfano su altri?

A me risulta che schiattino tutti prima o poi. E cosa resta se non punti di vista che trionfano su altri?

È quello che accade quando le persone si mettono al servizio delle idee, invece che a produrre idee al servizio delle persone.

Sintesi e strumenti utili

Come la riassumiamo tutto sto popò di roba in una frase?Io propongo:

Ogni potenza è un’apparenza, che offusca la realtà delle sinergie.

È una frase che secondo me descrive un approccio alla realtà che ha davvero tantissimi risvolti pratici.

Risvolti che io penso di poterti aiutare a scoprire, soprattutto se li vuoi applicare alla tua comunicazione, alle tue relazioni, alla ricerca di correlazioni.

A tal proposito, ho preparato una meditazione guidata, che può aiutarti ad interiorizzare ed integrare questi concetti. E poi a prenderne le distanze.

E’ disponibile per tutti i miei Patreon,

Patreon

e per chi si abbona al mio Podcast.

Aderire alle mie iniziative anche con piccole somme, forse può sembrarti un contributo irrisorio, ma per me significa avere le spalle coperte, affinché possa continuare a produrre liberamente contenuti interessanti.

In ogni caso ti invito a iscriverti al canale ed esplorarlo, per vedere se ti aiuta a vederci più chiaro. Ne sarei davvero felice.

Gagliardo eh!

Comunicazioni e Relazioni del Settore Olistico

Comunicazioni e Relazioni dei Professionisti del Settore Olistico

Presentazione

Ciao.

Io sono Alessandro e questo è IL VALORE RELAZIONALE.

Una volta su “il valore relazionale. com” , e adesso su valorel.net, più breve e facile da ricordare.

Oggi, ti parlo di Giampaolo. Che aspira ad essere un operatore olistico, professionista.

Fa massaggi con una tecnica particolare il Giampaolo. Tecnica che ha imparato da un tizio, che dice di averla messa a punto, dopo anni d’intuizioni.

Giampaolo considera questo tizio come suo Maestro. Perciò lo tiene in grande considerazione.

Non solo per quanto riguarda la tecnica di massaggio, ma più come un mentore a 360 gradi.

Però Giampaolo chiede comunque a me, un parere su come impostare la comunicazione sui social.

Perché coi suggerimenti del suo mentore, stavolta proprio non gli riesce di trovare una quadra.

Le domande base per abbozzare la propria comunicazione

Allora io gli chiedo:

  • A chi ti rivolgi di specifico?
  • Ah. Questo massaggio fa bene a chiunque.
  • Ok. E come convinci chiunque a venire a farsi massaggiare da te?
  • Col passaparola!
  • Si ma da chi partiresti, se tu potessi scegliere? Con chi più ti piacerebbe lavorare? Con gli atleti? Con degli artisti forse? Degli attori?
  • Qual’è la categoria di persone a cui ritieni di poter essere più utile?
  • Mi sa che non ci ho mai pensato, in modo così preciso.
  • Bene! Sono contento di averti introdotto a un nuovo percorso logico allora. È bene svilupparlo a puntino, perché una volta definito con chi ti piace lavorare, è utile capire a cosa costui ambisce, da cosa è frustrato e cosa lo spaventa.
  • Poi cercare di rilevare chi e cosa lo influenza, quando prende una decisione importante.
  • E quali sono i suoi valori di riferimento. Perché così ci possiamo immedesimare in lui. Possiamo capire quali convinzioni gli impediscono di accogliere i tuoi messaggi, e lo aiutiamo a metterle in discussione.
  • Ma come? Con una serie di comunicazioni atte a trasformare ciò che, nella sua mente, lo tiene lontano da te.
  • E tali comunicazioni sono assimilabili a tanti piccoli e facili passi, in relazione tra di loro, che piano piano aumentano il livello della sua disponibilità, nei tuoi confronti.
  • Ma mettiamo un attimo da parte questo. Perché non mi racconti, invece, come avevate progettato la promozione tu e il tuo Maestro? Qual era la vostra idea?

E mi racconta che, in sostanza, l’idea del suo Maestro era quella di fornirgli un videomaker di fiducia, per registrarlo, in una video testimonianza, di come il massaggio che Giampaolo pratica gli ha cambiato la vita in positivo.

Quando il disagio è prezioso… è presagio

Giampaolo ci prova, ma si sente a disagio con quel tipo di comunicazione. E forse ne ha ben donde.

Infatti:

  • se Giampaolo è un testimonial a disagio di fronte a una videocamera, allora chi è il beneficiario della testimonianza?
  • È solo timidezza quella che si esprime in quel disagio, di fronte alla telecamera?
  • O c’è anche un presagio di un contesto più ampio, che finora gli è sfuggito?

E infatti poco tempo dopo mi confessa un dubbio:

“Ma il mio Maestro, sostiene la mia realizzazione come dice, o sono io a sostenere la sua, mio malgrado” ?

Domanda sana secondo me!

Perché ti racconto questo?

Perché nella mia attività di facilitatore dello sviluppo di modelli di comunicazione efficaci, è emerso un tema ricorrente, negli ultimi 8 mesi.

Proprio coi professionisti del settore olistico.

Il tema del contrasto!

Tra cosa?

Te lo dico dopo la sigla!

In questo video parlo di un contrasto.

IL CONTRASTO

FRA LE COMUNICAZIONI E LE RELAZIONI

DEI PROFESSIONISTI DEL SETTORE OLISTICO

I quali comunicano, coi loro potenziali clienti.

Mentre coi loro già clienti invece, ci si relazionano.

Le comunicazioni sono unilaterali, e spesso si rivolgono a molti.

Le relazioni invece sono reciproche e per questo sono bilaterali o multilaterali.

Va tenuto conto che, molto spesso, la relazione si instaura tra singoli.

Se non altro perché, se già è complicato gestirla tra singoli, figuriamoci in gruppo.

Ed è proprio questa difficoltà a gestire le relazioni all’interno di un gruppo, che stimola la creazione di altre sottocategorie della relazione.

Altre modalità, altre opzioni possibili.

  • La relazione simmetrica: dove tutti hanno pari livello di autorevolezza.
  • E la relazione asimmetrica, dove c’è qualcuno che ha più autorevolezza di altri.

Allora abbiamo:

  • le relazioni all’interno di un gruppo,
  • Abbiamo la relazione simmetrica,
  • quella asimmetrica,
  • Abbiamo chi nel gruppo ha più autorevolezza e abbiamo chi ne ha di meno…

E Sim Sala Bim, in quattro e quattrotto ci troviamo fra le mani tutti gli ingredienti di una questione di POTERE!

Saper riconoscere il potere

E quindi è un vero peccato che per molti operatori olistici sembra essere difficilissimo, accogliere con sobria responsabilità, il potere conferitogli dal loro ruolo.

Quale ruolo?

Quello di chi si propone ai suoi clienti in qualità di relazione d’aiuto e supporto.

C’è chi ne abusa senza esitazioni, c’è chi nega di avere un potere, e chi unisce le due cose in una sola.

Sono davvero in pochi a riconoscere che si esercita un potere, ogni volta che si agisce nell’ambito, di una relazione d’aiuto.

Perché in pochi si rendono pienamente conto che, dal momento in cui si assume una relazione d’aiuto, si diventa la fonte dei rinforzi, positivi o negativi, delle persone che si rivolgono a noi.

Molti non se la sentono di assumersi questa responsabilità.

Non c’è niente di male, hanno di certo le loro ragioni.

È soltanto che io mi chiedo:

Nel mentre che non trovano la strada verso la loro responsabilità, perché non si dedicano a un lavoro diverso?!

Qualcosa che gli EVITI di avere a che fare con le profondità più intime degli altri?

Sia chiaro!

Il più delle volte queste persone non hanno nessuna intenzione di nuocere, deliberatamente, al loro prossimo.

Sapere cosa ci si aspetta dal proprio lavoro

È solo che non sono coscienti fino in fondo, di cosa si aspettano di ricevere, dall’esercizio del loro lavoro.

Di conseguenza non sono coscienti nemmeno di tutti quei bisogni che stanno dietro a quelle aspettative.

E questa condizione, una volta che entra in gioco in una relazione con un cliente, fa decisamente percepire il suo peso.

Ma non tanto all’operatore olistico, proprio al cliente, che quindi non si sente ascoltato, né capito, e perciò non torna, né passa parola.

E come potrebbe essere altrimenti, in una relazione d’aiuto, in cui i bisogni del cliente sono messi in secondo piano, da quelli del professionista.

Diventa disfunzionale!

Il massimo del risultato è che, il cliente, revisiona sotto una luce più critica, anche le impressioni positive ricevute in passato.

Proprio come Giampaolo col suo Maestro!

Mi è dispiaciuto, constatare una diffusa resistenza, da parte degli operatori olistici, a guardare alla propria proposta commerciale, con gli occhi e soprattutto la mente, dei loro clienti.

A dirla tutta, la resistenza riguarda anche, considerare la propria, una proposta commerciale.

Ma li, gli tocca di cedere in fretta.

Tu vuoi essere pagato o lavorare pro bono?

Perché se ti fai pagare la tua è una proposta commerciale. Anche tu vendessi l’immacolata concezione.

Soprattutto, vendessi l’immacolata concezione.

Empatia e manipolazione

Ma tornando alla riluttanza ad osservare la propria proposta con gli occhi e la mente dei propri potenziali clienti, viene spontaneo chiedersi se queste persone sappiano provare empatia.

Dato che dovrebbe essere requisito fondamentale del loro mestiere.

Sarebbe una semplificazione pensare che non ne siano realmente capaci.

La realtà è più complessa e non posso dirimerla tutta in questo video.

Accenno solo al fatto che empatia e manipolazione sono due poli che si attraggono. E spesso si incontrano nel settore formativo, nei corsi.

E poiché la manipolazione funziona con meccanismi, che sono l’opposto della comunicazione efficace, si verifica un fenomeno curioso e interessante.

  • Poiché gli operatori olistici sono persone tendenzialmente empatiche, che hanno frequentato ambienti formativi per anni.
  • Poiché questi ambienti sono spesso intrisi di aspetti manipolativi, legati alle figure carismatiche che li tengono in piedi, le quali tendono a giustificare la loro realtà con filosofie astratte, esotiche, abbinate a meccanismi di ingroup e outgroup.
  • Allora il momento in cui ci si dedica alla costruzione di una comunicazione efficace, è inevitabilmente il momento dove saltano tanti altarini.
  • Altarini del presente, del passato… e a ben guardare anche quelli del futuro.
  • Dove tocca di mettere in discussione i pattern di comportamento acquisiti senza accorgersene, e perciò non rielaborati fino in fondo.

E se per qualche motivo, per quegli altarini, per quei pattern, si nutre attaccamento, ciò che sará rimandato a data da destinarsi sarà, certamente, la costruzione efficace di una comunicazione efficace.

E no, la mia non è una ripetizione a caso. Perché, se osservi con attenzione, puoi riscontrare da te che esistono frotte di professionisti, impegnati strenuamente, nella costruzione inefficace, di una comunicazione efficace.

L’incongruenza sistemica non è un caso e la dissonanza cognitiva risulta funzionale nelle realtà manipolative.

Per la stessa ragione per cui un lavoro perennemente incompiuto risulta così funzionale nella manipolazione del mercato degli appalti, per fare un parallelismo.

Ma per semplificare basta pensare a cosa succede quando la possibilità di praticare una data tecnica è legata al riconoscimento e alle certificazioni di organizzazioni gestite dai personaggi carismatici suddetti.

Io sono un appassionato di pratiche olistiche sin dall’adolescenza. Pratico cose da oltre 25 anni. Per qualche tempo è stato anche il mio lavoro principale.

Quindi ritengo di conoscere molto bene il settore, con le sue molte luci e moltissime ombre. Ed a riguardo ho una visione molto disincantata.

Detto questo,  il mio consiglio per gli operatori olistici è il seguente:

Non è il caso di sforzarsi di fare pace col fatto che, nella maggioranza dei casi, chi approccia al mondo olistico lo fa quando sta male, per trovare un qualche tipo di conforto, rifugio, consolazione?

Noi del mondo olistico, mi ci metto dentro anche io, siamo tutti gente che, in qualche modo, ha dovuto raccogliere i pezzi. Personalmente, diffido da chi se ne vergogna.

Per contro la domanda è:

una volta ristabilita una certa integrità, non è il caso di resistere alla tentazione di spargere sollievo, con le tecniche più disparate, per darsi il tempo e il modo di sperimentarsi come individui, un poco morti e un poco rinati a se stessi?

Perché non la lasciamo decantare un pochino questa crescita personale?

Perché non darsi l’opportunità di distinguere la sostanza dal superfluo?

A volte mi sembra che, rinforzate a fatica le fondamenta, di quella bifamiliare che non ha retto al terremoto, ci si affretti a costruirci sopra un grattacielo, per monetizzare.

Lo capisci che in una situazione simile, da fuori, salta proprio all’occhio che c’è un’urgenza nascosta là sotto, a fare pressione, oltre ogni livello di buonsenso?

Come puoi pretendere che le persone ti si affidino serene e a frotte, quando tu sei il primo a essere in conflitto coi tuoi bisogni?

Che sia il caso di ridimensionare i propri progetti?

Secondo me si.

Se non altro per evitare futuri disastri e relative vittime.

Per chi ha il coraggio di farlo c’è un dopo, in cui si riconosce senza eccessivi patemi d’animo sia i propri bisogni, sia il potere, sia la responsabilità, nei confronti delle persone che a noi si affidano.

Se sei in questa fase;

Se te lo senti addosso questo coraggio, e se sei disposto a vigilare su te stesso, per cercare di evitare inutili sofferenze ai tuoi clienti; allora questo contenuto ti può essere molto utile.

I due concetti da appuntare sul taccuino

I due concetti principali per seguire il ragionamento sono che:

  1. La comunicazione è univoca e si rivolge ai molti.
  2. Mentre la relazione è reciproca e avviene tra le parti.

Si, è inesatto, è impreciso, ma permette un distinguo utile a tutti quelli che operano a fasi alterne fra gruppi e singoli. A chi deve fare spesso lo switch tra comunicazione e relazione.

Un distinguo utile a fare che cosa?

  • Ma a proteggere i propri clienti dalla tentazione di strumentalizzarli.
  • A evitare delle pericolose promiscuità.
  • Ad auto limitare il potere di suggestione del proprio carisma personale.

Forse si può usare a vantaggio di tutti, la comunicazione per la relazione.

Ma usare le relazioni in funzione della comunicazione, finisce spesso con lo sminuire il valore di qualcuno.

Finisce che si sacrifica il singolo in funzione dei meccanismi di gruppo. Non è una cosa che merita di essere approfondita in un epoca in cui tutti siamo potenzialmente direttori di mass-media?

Si, perché se ti proponi al prossimo come facilitatore della SUA crescita personale, allora il compito di proteggerlo da te stesso è in buona parte tuo.

E un bel trucco per facilitarti questo onere è quello di prendere le distanze dalla definizione di “insegnante”.

Lo so che a essere chi insegna è più facile posizionare se stessi dalla parte di chi riceve la parcella, e l’Altro dalle parte di chi la paga.

Però è anche vero che se conquisti la mente dei tuoi clienti col brand positioning d’assalto, l’unica crescita a concretizzarsi nel breve, medio periodo, sarà quella del tuo conto in banca.

Ti pare poco? Qualcuno avrà pensato.

A me francamente si.

Perché la tua promessa di mercato riguarda LA LORO CRESCITA PERSONALE.

Quella dei tuoi clienti!

E se sul lungo periodo disattendi quella promessa, addio BRAND POSITIONING!

E a quel punto resisti al mercato solo se sei paraculato.

Ma puoi provare a prendere in considerazione che, se tu puoi strutturare la condivisione di parte del tuo sapere, i tuoi clienti possono strutturare la condivisione di parte dei loro soldi. Non è così?

E di passaggio, ti ricordo che se vuoi vedere realizzati più video come questo, puoi iscriverti al canale, attivare la campanella e si, anche diventare un Patreon.

Per dare quel sostegno economico, così fondamentale per lo sviluppo di un progetto nel tempo.

E di cui anche io ho bisogno, si, certo.

Allora, tornando al ”condividere invece che insegnare”, è vero o no che se riesci a rinunciare ad essere quello che insegna, dai più valore a quelli che imparano?

Evitare di conferirti il ruolo d’insegnante, non ti costringe a ragionare su quale sia il valore di ciò che proponi, per i tuoi clienti?

Esprimi le tue sensazioni a riguardo nei commenti, per favore!

Condivisione e Brand Positionig Olistico

Secondo me, condividere invece che insegnare è come viaggiare con le ruote maggiorate, invece che con le stradali.

Vai più lento, ma vai su qualsiasi terreno!

Ecco perché CONDIVIDERE, mi sembra più prolifero che insegnare:

Perché fornisce protezione dalla propria vanità.

Darti dell’ insegnante può spingerti a relazionarti col singolo, solo per dare uno spettacolo al tuo pubblico.

Uno show che porta il tuo nome. E che in sostanza è più votato all’intrattenimento che alla crescita personale.

E che ha un effetto collaterale quasi inevitabile. La produzione di mere comparse e di capri espiatori!

Saranno loro ad essere espulsi dai tuoi scarichi, assieme a tutti gli effetti negativi delle incongruenze che tu metti in atto.

I tuoi clienti più smart però se ne accorgeranno e ti pianteranno in asso!

Ti rimarranno gli altri.

Se sono il target che desideri per te stesso… e se sei paraculato, in qualche maniera la sfangherai comunque.

In questo caso … in culo alla balena!

In ogni caso, teniamoci in contatto!

Tenendo conto che, fortunatamente, esistono modalità più efficaci, rilassate e coese, di vivere la crescita personale.

Modalità in cui si può evitare ogni repressione, incoraggiando l’espressione.

Gagliardo eh!

ter your text here…

Yoga e Ur Fascismo #001 – Evitare le trappole

Yoga e Ur Fascismo #001

Il Fascismo Eterno

Umberto Eco ci aveva avvisati!

Ma di che cosa? Te lo spiego dopo la sigla!

A luglio 2018 ottengo il mio diploma di insegnante di Yoga.

Ma come?

  • Frequento un biennio apposta.
  • Scrivo una tesi.
  • Faccio un’ esame pratico.

Perché è interessante?

  • Perché nella tesi parlo di UR FASCISMO e culto della tradizione.
  • Perché il corso è di stampo moderno.
  • E perché il tradizionalismo e il modernismo sono agli antipodi.

Dal buio della notte al sole di mezzogiorno, ci sono infinite sfumature.

Che possono essere colte con maggiore facilità se il contrasto è elevato.

Una di queste sfumature, è l’ UR FASCISMO.

Che è un modo più breve di dire fascismo eterno.

Le sue 4 caratteristiche di base

Il fascismo eterno ha 4 caratteristiche alle quali bisogna stare molto attenti.

Perché quando sono presenti, anche singolarmente, tendono a far condensare una nebulosa reazionaria.

E quali sono ste caratteristiche?

  • Il culto della Tradizione
  • Il rifiuto del modernismo
  • Il culto dell’azione per l’azione
  • Il rifiuto dello spirito critico

E quando dico “rifiuto dello spirito critico”, intendo la tendenza a far passare il disaccordo per tradimento!

Tendenza che mi sembra piuttosto diffusa!

  • Penso al rapporto fra i governi e Julian Assange
  • Penso all’etichettatura compulsiva di qualsiasi categoria sociale immaginabile.
  • Penso alla polarizzazione dei gruppi in seno al bisogno di fare community.

Che poi è figlio del bisogno di monetizzare, che poi è figlio del bisogno de magná.

Il rifiuto dello spirito critico

Ed è come se ognuno di noi dicesse agli altri:

“Se non approvi quello che faccio, allora sei fuori!

Sei fuori:

  • Perché col tuo disaccordo mi metti in pericolo di vita.
  • Perché mi metti in cattiva luce.
  • Quindi mi rovini il personal brand.
  • Quindi mi riduci il fatturato.

E pensare che c’è chi se la prende coi social-network, come se il problema originasse da li.

I luoghi del fascismo eterno

E invece no, è il FASCISMO ETERNO, quello che vive dentro ogni essere umano che è in conflitto morale coi suoi stessi bisogni.

È li che trova il suo spazio naturale. Ed è per questo che è eterno.

Certamente.

Perché se collochi le fonti dell’ autorità oltre l’umano, oltre te stesso, in luoghi in cui tu non hai accesso, nelle astratte regioni del divino”, come del resto fa ogni Tradizione, certe disgrazie sono facilitate.

Perché la rinuncia alla propria responsabilità è anche la rinuncia al potere su di sé.

E allora resta solo il potere sugli altri, che gli altri esercitano su di noi, e noi su di loro.

Tipo che quando tiri acqua al tuo mulino è più facile che tu dica che sei al servizio:

  • del nobile dio,
  • della nobile istituzione,
  • della nobile causa!

Piuttosto che tu faccia delle richieste specifiche, in funzione della tua voglia:

  • de scopà,
  • de magnà,
  • e di sentirti importante per qualcun’altro!

insomma, il culto della Tradizione da tutta l’impressione di essere un potente precursore d’ipocrisie, ricatti morali e rigidità gerarchiche…che rifiutano il modernismo per una ragione molto semplice.

  • In un mondo dove si può fare domande con disinvoltura.
  • Dove la distribuzione liquida del potere è davvero compiuta
  • Dove la società è costituita da persone con solida autostima, senso di responsabilità e rispetto di sé.

Alla Tradizione cosa resta, se non i tentativi di restaurarsi?

Ancien Régime come hobby

Questo perché il modernismo sta alla Tradizione PRECISAMENTE come la rivoluzione francese sta all’Ancien Régime. Ma anche viceversa!

Saranno forse le modalità di questo viceversa che continuano a sfuggirci?

  • Sembra un discorsone lontano ma, siccome la Tradizione:
  • Sta alla base della maggior parte delle religioni.
  • Sta alla base delle arti marziali giapponesi e del militarismo.
  • E sta alla base dello Yoga.

Ci ritroviamo con un Ancien Régime che cerca di restaurarsi, nello spazio personale delle persone moderne, attraverso i loro amatissimi hobbies.

Per questo io sento il bisogno di

  • evidenziare degli ostacoli
  • discutere soluzioni e sperimentarne qualcuna
  • e di confrontarmi liberamente con altri interessati a questi temi.

Quindi se senti della curiosità, anche vaga, fatti vivo nei commenti per favore.

Rapporti umani, marketing e l’accorgersi dei bisogni

Ma parlavo di vincere degli ostacoli!

Ostacoli verso cosa?

Verso una prospettiva dei rapporti umani radicata sul L’ACCORGERSI dei propri bisogni.

Di cosa sento bisogno?

Perché se io non sono consapevole dei miei stessi bisogni, se non mi sforzo di sviluppare un linguaggio, per prendere confidenza con loro, allora sono manipolabile.

E al contempo divento un manipolatore.

Si certamente!

Scusa ma secondo te, è un caso che nella nostra società il marketing abbia assunto un ruolo così centrale?

Il marketing è ovunque, perfino nelle parole di quelli che parlano male del marketing.

Ed è qui anche adesso, nelle parole che ti dico.

E sai perché?

Perché il marketing fa leva sui bisogni insoddisfatti e su tutto il carico psico-emotivo che ne deriva.

Non accade solo per pura malizia che gli yogi guru si trasformino in predoni.

Yogi Guru e Predoneria

Magari il loro intento di base è diverso, tipo quello di favorire la spiritualità delle persone.

Solo che nel giubilo della loro nobile causa, nascondono perfino a se stessi di essere mossi da bisogni ben più prosaici.

Il tutto all’insegna della CONSAPEVOLZÈEEZZA

Tanti Shanti e Namasté

E così come è vero che l’occasione rende l’uomo ladro, l’occasione di esercitare un potere, di procurarsi un vantaggio, di solito è colta senza badare troppo alle conseguenze.

Anche dai professionisti della relazione d’aiuto!

  • E penso alle vicende che hanno interessato Bikram, sul quale è ora in onda uno speciale su Netflix.
  • Penso allo scandalo che ha riguardato il padre spirituale dell’Ashtanga Yoga
  • E penso soprattutto alle accuse che 5 donne austriache hanno mosso all’attuale erede della dinastia di Krishnamacharia.

Dato il numero di questi scandali, non è il caso di chiederci se non ci sta sfuggendo qualcosa di questa straordinaria tradizione?

Si può farlo anche senza tramutarsi in giustizialisti eh?

Per esempio:

In un articolo di Matthew Remski di cui ti lascio il link, si parla dell’erede della grande dinastia Yogica citata poco fa.

Il quale nel 2012 è stato accusato di:

  • intimidazione psicologica
  • “bullismo spirituale”, qualunque cosa questo significhi.
  • umiliazione sessuale dei suoi studenti, in contesti di gruppo,
  • e di avere sottoposto alcune studentesse a falsi massaggi “granthi”, promettendo di dotarle di poteri speciali attraverso il rapporto.

Naturalmente, chiedendo loro silenzio e segretezza in proposito, in modo da rispettare alla lettera il manuale del perfetto manipolatore.

Ora, io non so neanche cosa sia il massaggio “granthi”.

Inoltre non possiamo sapere se è vero o no che queste cose siano accadute.

Poi lungi da me rinnegare il grande valore che tale dinastia di Yogi ha apportato per la demistificazione degli Yoga Sutra di Patanjali.

Però mi pongo delle domande:

  • Dal momento che cominciano a piovere denunce, non è che qualche messaggio, da qualche parte, è arrivato in modo, come minimo inappropriato, agli allievi?
  • In quali modi certi messaggi arrivano ai discenti in maniera equivoca, poco chiara, confusa e incongruente?
  • Non è il caso di cominciare a dare un nome, alle stranezze che si esprimono oggi giorno, nello Yoga e nelle culture Tradizionali?

Le Tradizionali incongruenze della manipolazione

Per esempio:

I confini della relazione Maestro – Allievo, sono posti in maniera confusa.

A mio avviso per poter offrire agli insegnanti l’opportunità di attraversarli con profitto, una volta sfumati.

E anche non fosse questo lo scopo iniziale, è ormai lapalissiano che comunque, poi è così che va a finire!

Ho scoperto che nella cultura anglosassone esiste un ampio dibattito, nell’opinione pubblica, sul tema degli abusi degli yogi guru.

E quando parlo di abusi, essi non devono mica essere per forza di natura sessuale!

L’abuso, in ambito yogico è un tema così sentito, nel mondo anglosassone, da spingere le maggiori associazioni mondiali a creare dei regolamenti dedicati.

Ciò ha interessato anche la ben nota Yoga Alliance.

Non è così nei paesi latini, come la Spagna, l’Italia ed i paesi del Sudamerica, dove il tema rimane dormiente.

Un poco come accade per la tematica della pedofilia ecclesiastica.

Se nei paesi anglosassoni, almeno per i casi emersi, i responsabili sono processati e le vittime, in qualche modo, risarcite.

In Italia i responsabili la fanno franca, qualche volta fanno pure carriera, e le vittime una volta di più, s’attaccano al cazzo!

Ho trovato tanto materiale interessante su questi argomenti.

Quindi se vuoi partecipare alla scelta di quale materiale elaborare prima, accedi alla bibliografia che ho preparato su Patreon.

A mio avviso, la scuola di Ashtanga Yoga, nel mondo anglosassone, ha affrontato la questione in modo abbastanza maturo perché:

  • Ha riconosciuto gli errori del suo Maestro e se ne è scusata, senza per questo rigettare tutto il suo operato.
  • Ha messo però in discussione una parte dell’insegnamento, per capire dove eventualmente ci si è mossi come la volpe con l’uva.
  • Ha acceso i riflettori sulla necessità di ridefinire gli equilibri tra la figura del Maestro e quelle dell’allievo e del gruppo.

E secondo me c’è da prendere spunto da loro anche nei paesi latini come Italia, Spagna e Sudamerica.

È una cosa direttamente correlata allo sviluppo di una sana autostima.

Se è un tema che ti interessa, possiamo approfondirlo.

Per piacere, fammelo sapere nei commenti.

Poi un altro tema su cui invito a fare finalmente chiarezza è il significato della parola tradizione.

Perché nello Yoga come nell’ Aikido, genera confusione!

In queste pratiche infatti è presente sia una tradizione con la t minuscola, intesa come patrimonio culturale trasmesso da una generazione all’altra.

Ma poi, nello stesso contesto, in maniera implicita, è intesa anche come Ur Fascismo.

Anche se pochi sono disposti ad ammetterlo, tra uno Shanti un Om e un Onegai Shimazu.

Questo ha conseguenze poco piacevoli nelle relazioni.

Ste conseguenze le vogliamo per forza chiamarle Karma? Chiamiamole karma!

Quanto buone siano le intenzioni iniziali non ha molta importanza rispetto a tali conseguenze!

E qui colgo l’occasione per condividere una esperienza personale.

Il Sutra 14 del Nadhana Padah di Patanjali

E parto dal Sutra 14 del Nadhana Padah di Patanjali.

Te hlâda paritâpa phalâh pun yâpun yahetu tvât

Pronunciato senza nessuna pretesa di correttezza.

E con piena comprensione di chi, nel dubbio mi ha già mandato in tanta mona.

Mi pare giusto!

In un corso di approfondimento sullo Yoga che ho frequentato di recente, dal quale ho preferito prendere le distanze, gli insegnanti ci parlano di questo Sutra in un momento molto delicato.

Un momento dove molte persone stanno chiedendosi se non è il caso di piantare in asso il corso.

Gli insegnanti ce ne offrono una interpretazione sulla quale io dissento con una certa aggressività.

Perché secondo tale interpretazione, in quanto individui, noi saremmo responsabili delle nostre azioni, solo per l’intenzione che ci siamo coscientemente proposti.

Cosicché, nel caso di effetti dolorosi e indesiderati su noi stessi e sugli altri, noi saremmo liberi da ogni responsabilità.

In sostanza loro ci dicono che se l’intenzione è cosciente e positiva, ma l’altro ci sta male, noi non accumuliamo karma negativo!

Più che un’interpretazione mi sembra un’assai produttiva fabbrica di alibi.

Un’interpretazione poco compatibile con chi si propone di parlare a buon titolo di “consapevolèèèzza”.

Un vero e proprio colmo, in una formazione di figure di responsabilità.

Almeno dal mio punto di vista!

Ma cercando di indagare più a fondo quale fosse la visione del Maestro indiano T.K.V. Desikachar, ho trovato delle conferme a riguardo.

La traduzione dal Sutra sanscrito infatti, dice approssimativamente questo:

Le conseguenze di un’azione saranno dolorose o benefiche, a seconda che le ferite e gli ostacoli siano innescati o disinnescati, durante la pianificazione o nell’attuazione di tale gesto.

Cioè: ferite innescate nell’agire, uguale guai.

Questa interpretazione mi sembra molto diversa da quella proposta al corso.

Tutta una questione di cicatrici

Perché mi dice che:

se nel momento in cui pianifichi o svolgi le tue azioni, le tue ferite e i tuoi ostacoli sono latenti, dormienti, disinnescati,

allora c’è sufficiente chiarezza perché quelle azioni siano appropriate ad evitare inutili sofferenze.

Ma se invece le ferite e gli ostacoli sono innescati, per buone e coscienti che siano le tue intenzioni,

al momento del tuo agire e del tuo pianificare faranno esplodere spiacevoli conseguenze per te e per gli altri.

Quindi la responsabilità permane al di là delle intenzioni, ANCHE SECONDO I SUTRA.

Insomma è tutta una questione di cicatrici, che tengono o che si riaprono.

E poi, a mio avviso, come insegnante di yoga non lo so, ma come persona abbastanza sana di mente si, non puoi presumere di vivere costantemente nella piena trascendenza delle tue ferite.

Perché tutti viviamo momenti di fragilità.

Tutti abbiamo cicatrici che si riaprono.

Se poi prendiamo in considerazione la possibilità che i nostri meccanismi di difesa dell’io siano automatici ed inconsci per definizione, va da sé che,

dei mie schemi distorti, me ne accorgo più dal feedback degli altri, che dalla mia consapevolèzza e purificaziòne.

In parole povere, nonostante i declamati superpoteri, anche i guru pestano merda.

Peccato che alcuni usino gli allievi come carta igenica!

Personalmente ritengo che, nel mondo in cui viviamo, gli om, i sutra e i mantra possono anche essere utili, in una certa misura.

Ma se, quale che sia il contesto:

  • io mi lascio sminuire, intimidire e umiliare;
  • se mi lascio affascinare dal potere, dal prestigio, dal ruolo;
  • se mi lascio coinvolgere in perversi meccanismi di pretesa fiducia.

finisce che divento cibo ripieno.

O alla meno peggio, un bel pallone gonfiato!

Gagliardo eh!

E in campana! Che è importante!

Ciao!

Verità supposte e senso dell’umorismo

Verità supposte VS umorismo

Presentazione del video e delle novità di quest’anno

Ciao, io sono Ale e questo è ​Il Valore RelazionaleE’ il mio sito internet.Dopo una luuunga pausa estiva riparto con i contenuti.E con l’occasione faccio storytelling.Parlo di un personaggio inventato.Walter, il mio Walter Ego.

Prima però ti informo di alcune novità di quest’anno:

Una è Rollo, il mio camper – che in alcuni periodo dell’anno condivido, e che anche tu puoi prendere in affitto.Ecco il link.La seconda è Patreon, con il quale puoi aiutarmi a rendere sempre più sostenibile la creazione di contenuti.Ma parlavamo di Walter.

Una sensazione misteriosa

Walter si stava predisponendo a una giornata di lavoro.

Di solito, passava qualche minuto a prepararsi mentalmente per i compiti che lo aspettavano.

Si vestiva, metteva a bollire del caffè, scriveva qualche piccola nota sul cellulare e poi partiva.

Ma quel giorno è stato diverso.Invece di prepararsi, si era ritrovato a letto, senza pensare a niente.

Perché? Aveva forse sonno?No. Le energie che gli servivano per portare a termine le sue attività se le sentiva dentro.

Ma c’era anche altro.Che cosa stava accadendo allora? Aveva forse dimenticato qualcosa?

No, era sicuro di non averlo fatto.Cosa stava succedendo?

Nuovi pensieri si fanno strada

Si rendeva conto di essere distratto da qualcosa.

Era controllato da pensieri appartenenti a una classe particolare.Pensieri… come dire… proletari.

Pensieri provenienti dai sobborghi frustrati e repressi di certe sue emozioni e sensazioni.

Percepiva la presenza di questi punti di vista dentro di sé.Percepiva la presenza di questi assunti molto diversi da quelli di cui era normalmente cosciente.

Percepiva la presenza di punti di vista che riguardavano le cose e le persone della sua quotidianità.Si stavano facendo strada!E mettevano in discussione la sua routine, il suo status, il suo comfort.

Ribaltamenti senza nome

La sensazione non era così ben definibile a parole li per li, ma aveva un suo tratto di consistenza, una sua tangibilità.

Sentiva bene che esisteva e desiderava darle tempo, darle spazio, subito.

Voleva ascoltarla. Voleva diventarne pienamente cosciente. Cogliere maggiori dettagli.

Lui era convinto che il suo comportamento funzionasse sulla base di ciò che credeva essere vero.

Gli assunti a ruolo

Che il suo meccanismo di scelta si basasse sulle sue convinzioni, sui suoi assunti.

Riteneva che il proprio agire dipendesse da ciò che assumeva come verità.Guardava quindi con simpatia a quel proverbio che dice che la verità… è la madre degli imbecilli.

Per questo Walter credeva che a volte, dietro al dubbio riguardo ai propri assunti, si nascondono delle vere e proprie rivelazioni.

Delle vere e proprie rivoluzioni personali.

Lui non voleva essere il tipo di persona che reprime i dubbi per ostentare sicurezza e autorità.

Desiderava evitare di trasformarsi in una persona supponente e spocchiosa.

Perciò coltivava un certo senso dell’umorismo.

Il senso dell’umorismo e la sindrome da ipercontrollo

Pensava l’umorismo fosse una’alternativa meno ridicola, della ricerca di conferme e dell’invenzione di capri espiatori.

Eppure, alcune persone, lo avevano messo in guardia da questo suo atteggiamento.

Sostenendo che seppure svolgesse funzioni positive, esso avesse una componente di superficialità.

Lui si chiedeva di quale superficialità parlavano davvero, se della sua, se di quella intrinseca all’umorismo, o della loro. Magari inconsciamente.

Qual era la vera posta in gioco secondo loro?

Un rischio che effettivamente Walter correva o il loro personalissimo bisogno di attenuare una paura personale, agendo sugli Altri.

Quali idee assumevano per sentirsi legittimati a dargli addirittura un avvertimento di questo tipo?

“Stai attento a te stesso! Non ti fidare”!

Avevano paura per lui… o di lui?Stavano cercando di disinnescare qualcosa, o qualcuno?

Walter usava il senso dell’umorismo per prendere in giro anche alcune parti di sé.

Quelle che costruivano racconti eccessivamente drammatici intorno ai suoi stessi disagi.

Era un modo per togliere loro rilevanza, lasciando spazio alla salute mentale ella leggerezza!

Non superficialità, leggerezza. Non è mica la stessa cosa!

Certo, questo lo rendeva una persona piuttosto scorrevole nel mettere in discussione tutto ciò che assumeva pose eccessivamente solenni e drammatiche.

Pose che dovrebbero legittimare le persone a essere vittime di dilemmi insolubili, in attesa che qualcuno li risolva al posto loro.

E lo rendeva ancora più fluido nel considerare con lunghiiiissime pinze, chi pronunciava spiegazioni intorno ai disagi degli altri.

Se poi qualcuno si azzardava a pontificare sui disagi personali di Walter, allora lui lo dissacrava platealmente. A fuoco. A buco.

Trovava qualcosa di nobile nel ridimensionare le verità supposte, sfanculandole.

Questo perché i loro diffusori gli davano l’impressione di essere consapevoli, sotto sotto, di essere abusivi.

Facevano finta 2 volte: finta di avere realmente una verità, e finta di non sapere di fingere.

Ed è per questo che lui trovava interessante, dove possibile, andare a stuzzicare con garbo quella loro coda di paglia.

Quel loro avere costante bisogno di convincere gli altri:

  • a concedergli di stare esattamente lì dove a loro fa comodo porsi;
  • ad assumere la posa più agevole a farsi penetrare il decidere.

Chi prende le mosse da falsi assunti ha modi strutturati per mascherare queste richieste novantagradiste.

Non te lo dicono apertamente:

“Lasciami stare qui, fra le tue chiappe, a condizionare il modo in cui cammini”.

C’è sempre qualche addobbo, o il permesso gli verrebbe negato.

Verità supposte: che fare?

Quindi le cose giuste da fare con gli assunti sbagliati e con chi li usa come supposte da rifilare al prossimo, secondo Walter sono sempre le stesse:

  • Prenderne coscienza
  • e liberarsene,
  • per ricominciare a camminare con disinvoltura.

Anche perché, ogni “verità supposta” ogni falso assunto relativo a un qualsiasi disagio, non è esso stesso un disagio?

E se proprio non si può fare a meno di assumerlo, questo disagio, non è meglio riderne al più presto?

Svelato l’arcano

Ecco perché Walter se ne era rimasto a letto.

Per rifiutarsi di passare un’altra giornata a camminare con una verità supposta, con un disagio fra le chiappe.

E senza neanche poterne ridere!

Se anche tu vuoi camminare nella vita con maggiore disinvoltura.

Se anche a te Walter pare un tipo simpatico.E se anche a te piace mettere in discussione quello che credi di sapere, fammelo sapere nei commenti, metti un bel like, iscriviti al canale e poi soprattutto…ridici sopra!

Grazie 🙂

Gagliardo eh!