Riconoscere e superare i condizionamenti dei propri genitori

Superare i condizionamenti ricevuti dai genitori

Aquila austera

Aquila Reale

Ciao.

Io sono Alessandro e questo è VALOREL: il luogo dove esploriamo il valore relazionale.E dato che la matrice di ogni relazione dipende, dal rapporto coi genitori, oggi parlo di genitori tossici.

Come? Ispirandomi a un testo di Susan Forward, che si chiama “Toxic Parents”.

Genitori tossici insomma.

Ma in che senso, quello delle droghe? No. O meglio non solo.

Il primo passo verso la guarigione: riconoscere le dinamiche tossiche

Toxicity

Il questionario della Forward, per capire quanto sei ferito

Questionario

Il rapporto coi genitori durante l’infanzia:

  • Ti hanno chiamato con nomi offensivi?
    • Ti hanno picchiato con cinghie, spazzole o altri oggetti?

    I tuoi genitori si sono ubriacati o hanno fatto uso di droghe?

    • Hai dovuto prenderti cura dei tuoi genitori a causa dei loro problemi?

    I tuoi genitori ti hanno fatto qualcosa che doveva essere tenuto segreto?

  • Hai avuto paura dei tuoi genitori per la maggior parte del tempo?
  • La seconda parte del questionario riguarda…

    Ti ritrovi in relazioni distruttive o violente?

  • Ti aspetti il peggio dalle persone? Dalla vita in generale?
  • Hai paura che se le persone conoscessero il vero te, non gli piaceresti?
  • Ti arrabbi o ti rattristi senza una ragione apparente?
  • È difficile per te rilassarti o divertirti?
  • Il tuo rapporto coi genitori, da adulto.
    • Molte delle tue principali decisioni di vita si basano sull’approvazione dei tuoi genitori?
    • Hai paura di non essere d’accordo con i tuoi genitori?
    • I tuoi genitori ti manipolano con i soldi?
    • Ritieni che sia tuo compito, migliorare le loro condizione?
    • Credi che un giorno, in qualche modo, i tuoi genitori cambieranno in meglio?

    Le erbacce delle relazioni: come liberarsene

    Erbacce

    Che tu sei completamente libero o libera da qualsiasi responsabilità per quanto riguarda quello che ti è stato fatto quando eri un bambino o una bambina indifesa

  • Chiaro che è un lavoro che ha un prezzo emotivo da pagare.Perché una volta eliminate le difese, scopri sentimenti di rabbia, ansia, confusione e soprattutto dolore.La distruzione dell’ immagine dei genitori può suscitare potenti sentimenti di perdita e abbandono.Perciò è opportuno proseguire con calma.Il processo di diminuzione del condizionamento negativo dei genitori è graduale, ma alla fine libera la tua forza interiore.Ma allora, per cominciare ad addentrarci nel tema, come fanno certi condizionamenti a radicarsi in maniera così ostinata in una persona, anche quando sono disfunzionali?

    Per capirlo parliamo degli dei degli antichi greci.I quali guardavano giù dal Monte Olimpo e giudicavano tutto ciò che le gente faceva.Se non gli piaceva, punivano.Irrazionalmente, arbitrariamente e per puro capriccio, trasformavano qualcuno in una eco o lo condannavano a spingere un masso per l’eternità.La loro onnipotenza e la loro imprevedibilità hanno seminato paura e confusione tra i loro seguaci mortali.E questo somiglia molto a una relazione tossica tra genitori e figli.Perché un genitore imprevedibile somiglia a un dio spaventoso, agli occhi di un bambino.Il genitore è come un dio per un bambino piccolo, in quanto senza di lui si ritrova senza amore, senza protezione, senza cibo e riparo.Una sorta di fornitore onnipotente senza il quale ha scarsissime possibilità di sopravvivenza.

    E dal momento che niente e nessuno giudica quel genitore, un bambino piccolo assume che egli sia perfetto.Mano a mano che il mondo del bambino si allarga dalla culla, questi incontra sempre più incognite.E per affrontare questo ignoto crescente il più serenamente possibile, sviluppa il bisogno di sentirsi protetto.E la percezione di questa protezione, poggia i propri pilastri nell’idea che i genitori sono perfetti.

    E’ a partire dai 2 e 3 anni che il bambino comincia a fare i primi esperimenti per affermare la sua indipendenza.Comincia a dire di no per esercitare un certo controllo sulla sua vita.Abbozza delle piccole lotte per stabilire la sua volontà e sviluppare un’identità unica.Il completamento del processo di separazione ha bisogno di una conflittualità che trova il suo apice durante la pubertà e l’adolescenza.Dove il ragazzo o la ragazza si confronta attivamente coi valori, i gusti e l’autorità dei genitori.

    Questi cambiamenti ingenerano ansie nei genitori.Quelli che le sanno gestire, tollerano l’emergente indipendenza del ragazzo o ragazza.E nei casi più fortunati, addirittura, riescono a incoraggiarla.Ma una genitorialità tossica non sa gestire bene l’ansia, e perciò interpreta sia i primi esperimenti d’indipendenza, sia la ribellione adolescenziale, sia le differenze individuali, come attacchi personali.Quindi va sulla difensiva, cerca di rinforzare la dipendenza e l’impotenza del figlio.E nella convinzione di agire nel suo migliore interesse, in realtà ne impediscono un sano sviluppo.Il risultato del loro agire, anche se a loro sembra impossibile, è sabotaggio.Il loro arsenale di negatività stronca sul nascere qualsiasi idea di indipendenza.E per questo toglie spazio vitale all’autostima del figlio.Non importa quanto questi genitori credono di avere ragione, il loro interventismo è un aggressione che lascia i figli sconcertati.

    E ciò con l’avallo delle nostre religioni e inculturazioni, dove se è accettabile esprimere rabbia, nei confronti di mariti, mogli, amanti, fratelli, capi e amici, rimane quasi sempre un tabù affrontare i genitori, in modo assertivo!”Rispondare indrio”, “ rispondere indietro”, in veneto, ha una accezione fortemente negativa.Secondo la saggezza convenzionale, i nostri genitori hanno il potere di controllarci semplicemente perché ci hanno dato la vita.

    La paura ereditaria

    Paura

    Concetto chiave

    Concettochiave

    Falsi assunti

    Falsi assunti

    “Io sono cattivo e i miei genitori sono buoni.”

  • Sono false convinzioni! Ma sono così influenti che possono sopravvivere a lungo, anche dopo la fine della dipendenza fisicadai genitori.Ed hanno la funzione specifica di tenere viva la fiducia nei genitori e con essa la percezione di un certo senso di protezione, di sicurezza.Questo permette al bambino, che ormai è diventato adulto, di continuare a evitare di affrontare, il caos e il dolore, che derivano dalla realtà che i genitori lo hanno aggredito, proprio quando era più vulnerabile.Tradendo il ruolo di protezione che avrebbero dovuto assolvere, nel momento in cui questo ha provocato più danni.Questo è un passo molto importante da compiere, per il proprio bene e quello di chi ci vive intorno.Un passo che richiede molto coraggio.Quindi ti invito a restare sul pezzo diventando un Patreon, per supportare ulteriori approfondimenti sul tema.

Śūnyatā e Manjushri – Le muse di Valorel

Sunyata e Manjushri

Śūnyatā e Manjushri – Le muse di Valorel

Introduzione

Ciao, io sono Alessandro e questo è Valorel.Un canale dove si parla del valore relazionale.

Mi trovi anche su Spotify, cercando Valorel Podcast. E c’è una sorpresa alla fine di questo contenuto. Quindi ti consiglio di seguirlo per intero.

Oggi ti parlo dei principi che fanno da musa ispiratrice di questo canale. Sigla.

Nessun valore intrinseco. Cos’è l’ignoranza?

Hai mai provato a fare finta che niente e nessuno abbia valore di per sé?

Hai mai provato a fare finta che il valore, qualsiasi valore, sia un’apparenza impermanente, basata su sinergie momentanee?

Forse ti fa piacere sapere che alcune scuole buddhiste lo fanno da secoli, perché secondo loro l’ignoranza non è tanto, quando non sai una cosa.

L’ignoranza è quando attribuisci così tanto valore a qualcosa o a qualcuno, da non vedere più i contributi che vi afferiscono, dalle sue sinergie, dalle sue relazioni.

Ecco che fare finta che qualcosa o qualcuno, non abbia alcun valore in sé e per sé, stimola curiosità rispetto a quei contributi, quelle sinergie, quelle relazioni, che vi afferiscono valore.

Ed ecco perché i miei canali si chiamano, Valorel, Il Valore RelazionAle.

E’ un poco un tributo a questo aspetto della loro mentalità, col quale mi sento affine.

Manjushri

Se guardi sul logo del canale, noterai che all’altezza della fronte del mio avatar, appare una figura simbolica, della cultura orientale.

Si chiama Manjushri ed è un bodhisattva.

Una sorta di santo. Quindi è una persona che ha già raggiunto la liberazione.

E pur avendo la possibilità di interrompere il suo ciclo di morte e rinascita, una interruzione chiamata Nirvana, Manjushri ci rinuncia, mosso da compassione verso gli altri esseri senzienti.

E allora continua a reincarnarsi, e perciò anche a soffrire, allo scopo di aiutare gli altri esseri senzienti a liberarsi.

Ma liberarsi da cosa? Ma dalla sofferenza.

Liberarsi dalla sofferenza, non dal dolore. Perché è un distinguo utile?

Perché il dolore lo senti adesso e tra un secondo è andato via.

La sofferenza invece tende a disfare i bagagli dentro di te, e a prendere la residenza.

E perciò la sofferenza diventa condizionamento.

  • Detto questo, cosa posso dire di Manjushri, chi è?
  • Un buon samaritano?
  • Un paladino della lucidità mentale?

Per me Manjushri è più un pro memoria, una scorciatoia verso significati articolati, quindi un simbolo degli stessi.

Manjushri per me è un’euristica.

Uno dei motivi per cui mi fa simpatia è che è un bodhisattva irato.

E’ un borderline in una cultura molto legata al concetto di non-violenza, quale è la cultura buddhista.

Sembra che Manjushri non possa proprio trattenere la sua ira perché, in qualche modo, fa parte della sua energia più profonda.

Reprimerla sarebbe controproducente.

E allora la sua ira acquisisce una funzione, un’intenzione, uno scopo, ed è rappresentata dalla sua spada, che è votata a distruggere l’ignoranza.

Distruggere quell’ignoranza intesa come attaccamento a una qualche verità impermanente.

Secondo quel meraviglioso principio per cui la mappa di un territorio è una cosa ben diversa dal territorio.

O secondo un altro principio a me molto caro, secondo cui la verità è la madre degli imbecilli.

Quindi io provo una grande simpatia per la figura di Manjushri.

Il quale, nello sforzo di risolvere delle forti tensioni interne,  si ritrova a svolgere un compito così importante.

  • Distruggere l’ignoranza perché è la causa della sofferenza e quindi dei condizionamenti.
  • Distruggere concetti e credenze, per compassione.

Che non è compatire, ma è comprendere la condizione altrui. Ed esserne pure in qualche modo partecipe.

  • Distruggere blocchi mentali, rigidità e prese di posizione, per favorire la vita, lo scambio di informazioni, le interconnessioni, il fluido evolversi dei processi.

E non per vocazione mortifera!

E senza mai fare quell’errore atroce, di prendersi troppo sul serio!

Perché li è un attimo e la spada diventa un manganello. E dove il manganello picchia, l’ignoranza cresce.

Infatti mi piace immaginare Manjushri, dotato di una caustica ironia e auto-ironia! Dotato di quell’umorismo rivelatore di contesti impliciti.

Śūnyatā – Vacuità

Questo guardare alle cose, non come prive di valore, attenzione! Ma come prive di valore intrinseco, nella cultura buddhista è detto Śūnyatā.

Che tradotto suona un poco come vacuità.

E se serve fare questo esercizio, cioè guardare alla vacuità delle cose, per riuscire a conservare la lucidità della propria mente,

allora come si fa a conservare la stessa lucidità guardando all’essere umano,

dal momento che esso tende ad attribuirsi un valore intrinseco, che chiama sé, anima, ātman?

Come lo identifichiamo quel punto al centro del cerchio, se il cerchio è l’essere umano?

Come ci comportiamo rispetto al fatto che, se non fosse per la circonferenza che lo circonda, noi non saremmo minimamente capaci di accorgerci dell’esistenza del centro, né di avere la minima idea da dove cominciare a cercarlo?

centro e circonferenza

Un tale in passato ha proposto di chiamarlo, “non-centro”. Perché il centro non è che esista in sé e per sé.

E quindi chiamarlo non-centro è uno stratagemma, per evitare di attribuire a quel punto in mezzo alla circonferenza, una entità, una istituzionalizzazione, un’identità, una etichetta.

  • Ha proposto di chiamarlo non-centro per potersi ricordare che quali che siano i nomi e gli attributi che gli conferiamo, lo facciamo per convenzione, attraverso un atto convenzionale.
  • Ha proposto di chiamarlo non-centro per evitare di inventarsi un “Centro” con la C grande, che nella realtà non trova riscontro neanche a cercarlo coi cani.
  • Per evitare di confondersi rispetto alla realtà di quel centro, la quale è semplicemente un’astrazione.

Ma per precise che siano le spiegazioni che ha dato quel tale, rimaniamo esseri umani con dei bisogni da soddisfare.

Per cui prima o poi saltano fuori altri tizi o da soli o in gruppo, che prendono il significato di quell’ astrazione, la mettono sotto steroidi, e la propongono al un pubblico in modo da trarne un profitto.

E si badi bene, il problema non sta nel trarne profitto, ma nel mettere le astrazioni sotto steroidi.

Quindi ci ritroviamo con questi personaggi e i loro megafoni che vanno in giro dicendo:

“Il centro vale di più della circonferenza”!

E qualcun altro risponde con un altro megafono

“No è la circonferenza che vale più del cerchio”!

E un altro ancora

“Vi sbagliate tutti, è il foglio in cui sono disegnati a fare veramente la differenza.

E poi se ne aggiunge un quarto che dice:

“E la geometria nel suo insieme allora dove la mettete, cosa sarebbero il foglio, il punto e il cerchio se non ci fosse la geometria”!

E allora ecco che arriva il quinto col suo concetto di non-centro:

“Calmi! Calmi tutti! Di per sé, qui nessuno conta un cazzo, è chiaro? Me compreso! Quindi sul valore nostro e delle cose, bisogna che negoziamo di volta in volta, tenendo conto anche del contesto”.

Ed è qui che di solito, quelli che prima litigavano fra loro si mettono d’accordo, puntano tutti il dito contro quest’ultimo a dichiarare:

“Quel tizio li e il suo messaggio sono pericolosi, sono nichilisti”.

Può darsi che la sua sia una visione nichilista. Ma può anche darsi che la mente di tutti gli altri concepisca dio come ultimo rifugio del loro ego.

Anātman e il distacco

E allora a cosa serve sto non-centro, sto anātman, qual è la sua funzione?

Il concetto di anātman è nato in oriente come strumento di distacco.

  • Distacco dal concetto di ātman (sé, anima), in modo da ricordarsi che è un concetto sulla realtà, non una realtà. È un’astrazione.
  • Distacco dalle proprie concezioni di sé.
  • Distacco dalle proprie concezioni di dio.
  • Distacco dalle proprie concezioni sulla realtà, in genere.

Perché quando la mente si aggrappa a tali concezioni impermanenti, a tali astrazioni, si produce il seme di una forma di sofferenza che è legata agli stati condizionati dell’esistenza.

Ma stati condizionati da che cosa? Beh dalle concezioni stesse!

Il condizionamento da “concezione della realtà”, è una delle forme di sofferenza più difficili da riconoscere.

Perché è come portare gli occhiali da sole senza saperlo.

Gli occhiali di Antonello

Quindi il mondo ti appare più scuro, ma in realtà sono le tue lenti ad essere scure.

Tu ti illudi di vedere una qualità, nel mondo, e invece è il mondo che ti rimanda la qualità delle lenti con cui lo guardi.

Il concetto di anātman, di non sé, di non dio quindi, non è la negazione di alcunché.

Piuttosto è uno strumento, che serve a conservare la lucidità mentale necessaria, il distacco, per riuscire a riconoscere le dinamiche di tale sofferenza, chiamata Samkhāra Dukkha“.

E’ quindi uno strumento di disidentificazione, persino dai concetti ai quali tendiamo ad aggrapparci.

E’ un prendere le distanze dalle proprie astrazioni, atto a darci l’opportunità di una prospettiva sulle astrazioni stesse, sugli assunti che ne derivano e sulle decisioni che prendiamo sulla loro base.

Un modo per riuscire a guardarsi dentro, e a riconoscere che, quali che siano i contenuti che vi si trova, non si è quello.

E che quindi si è e si può essere anche Altro.

Uno strumento per fare esperienza di quel qualcosa che, se esiste davvero, allora vive oltre la nostra mente, e che se chiamassimo sé, lo imprigioneremmo in una concezione, del sé.

Un qualcosa che però potrebbe anche non esistere. E che a contemplare questa possibilità, la nostra vita non dovrebbe minimamente esserne sconvolta.

Ecco perché invece è stato chiamato non-sé, anātman.

  • Per poterne parlare senza farci ricattare dal linguaggio.
  • Per potercisi riferire in un discorso, ma senza ridurlo a un trastullo del nostro ego.

Si sto dicendo che le concezioni sull’anima sono l’ennesimo artificio con cui l’ego cerca di darsi un tono spirituale.

Insomma il concetto di anàtman servirebbe a ricordare che, quale che sia quello che guardiamo, indossiamo delle lenti.

Infatti bisogna prendere i paroloni con le pinze, perché è forte la tentazione di usare la mente per approcciare l’imponderabile.

Ma a ponderare l’imponderabile si finisce col confondersi…e parecchio!

Perché io posso anche esclamare le parole “Intero infinito universo”, ma questo non significa certo che la mia mente possa diventare essa stessa l’intero infinito universo.

E se ci pensi questo problema si ripresenta ogni volta che esprimiamo un concetto imponderabile tipo:

  • anima,
  • amore,
  • spiritualità,
  • dio,
  • brand.

Se poi uso gli aggettivi per piazzare nel discorso una palese incongruenza, come quella fra intero e infinito, vuol dire che ho proprio deciso di pretendere la licenza poetica!

Giacomo Leopardi

E se ti guardi intorno, non ti sembra pieno di boriosi e pretesi “Leopardi” la fuori?

Il mercato delle seghe mentali è forse ad apice perpetuo?

Se vogliamo emozionare, emozionarci, suggestionare o suggestionarci, illudere o illuderci, queste parole suggestive sono idonee allo scopo.

E vanno benissimo se sei un cantautore, un poeta!

Ma se vogliamo relazionarci agli altri, fornire loro strumenti operativi per migliorarsi, laddove migliorarsi significa identificare schemi disfunzionali e crearne di funzionali,

allora sono parole che confondono, perché reificano, cosificano e assolutizzano concetti, che di fatto sono completamente imponderabili, e a cui per questo ognuno attribuisce necessariamente un significato diverso.

Perché diverse sono le esperienze che ha fatto nella sua vita e che usa per afferire significato a quei concetti.

Sono parole belle da sentire, altisonanti, “satviche”, qualcuno potrebbe persino dire.Ma sul piano operativo valgono meno di un rutto. Perché almeno, il rutto è congruo alla sua funzione, digerire.

I paroloni esotici sulla spiritualità invece sono incongrui con una sana spiritualità.La quale è atta a smettere di girare come criceti, nei labirinti celebrali che non hanno nessuno sviluppo pratico.

Il prezzo dell’attaccamento

E come fai a scendere dalla giostra, se sei attaccato alle parole che usi?

Attaccamento alle parole:

  • Uguale, ostacoli alla reciproca comprensione;
  • Uguale, rendere permanente ciò che è impermanente;
  • Uguale, illudersi riguardo a una concretezza e ad una oggettività che di fatto sono soggettive esse stesse. Sono relative.

Se ti attacchi alle parole che usi, le investi di significati assoluti, e favorisci la perpetuazione dell’incomprensione e della confusione.

Se non te ne liberi, il risultato più probabile è che l’unica modalità relazionale che ti resta sia la coercizione sotto mentite spoglie.

E quindi giù di demonizzazioni del punto di vista altrui. Giù di magnificazione del proprio punto di vista.

  • Il significato della parola anātman inteso come trucchetto per ingannare lo strapotere dell’ego, che ci abita la mente e il linguaggio;
  • la parola non-sé, intesa come tentativo di creare un lessico per l’inter-operabilità dei concetti;

penso potrebbero essere molto utili nelle relazioni.

Cosa sto dicendo?Che quale che sia il concetto che vuoi esprimere:

  • se esso per te è una bandiera, una forma di appartenenza,
  • se quel concetto per te è come un luogo da difendere,

allora difficilmente potrà risultare valido per un’altra persona, che in quel senso di appartenenza non si riconosce.

Quindi, se non vai oltre il tuo punto di vista, dovrai escludere chi non è disposto ad abitarlo.

Perché questa è una storia che si ripete e rigorosamente senza un lieto fine?

Perché quando fai di un valore una bandiera, non ti chiedi:

  • Perché lo stai facendo?
  • Quali bisogni stai cercando di appagare?
  • Se c’è forse un modo meno impattante di soddisfarlo?

Perché in quel momento non governi sui tuoi bisogni, sono loro a governarti.

Senza concepire le dinamiche di questa sorta di coproduzione condizionata del significato, di origine interdipendente del valore delle cose, di pratītya-samutpāda, in sanscrito,

e che per me, beninteso, uno può chiamarla anche Osvaldo, se gli è utile,

ciò che resta alla fine di ogni sforzo relazionale, alla fine di ogni conflitto, è solo una mortifera ed egoinomane competizione. Perennemente assoggettata alle nostre ferite, bisogni e pulsioni infantili.

E infatti…guardati un poco intorno.Sul lungo periodo, ci sono forse esseri umani che trionfano su altri?

A me risulta che schiattino tutti prima o poi. E cosa resta se non punti di vista che trionfano su altri?

È quello che accade quando le persone si mettono al servizio delle idee, invece che a produrre idee al servizio delle persone.

Sintesi e strumenti utili

Come la riassumiamo tutto sto popò di roba in una frase?Io propongo:

Ogni potenza è un’apparenza, che offusca la realtà delle sinergie.

È una frase che secondo me descrive un approccio alla realtà che ha davvero tantissimi risvolti pratici.

Risvolti che io penso di poterti aiutare a scoprire, soprattutto se li vuoi applicare alla tua comunicazione, alle tue relazioni, alla ricerca di correlazioni.

A tal proposito, ho preparato una meditazione guidata, che può aiutarti ad interiorizzare ed integrare questi concetti. E poi a prenderne le distanze.

E’ disponibile per tutti i miei Patreon,

Patreon

e per chi si abbona al mio Podcast.

Aderire alle mie iniziative anche con piccole somme, forse può sembrarti un contributo irrisorio, ma per me significa avere le spalle coperte, affinché possa continuare a produrre liberamente contenuti interessanti.

In ogni caso ti invito a iscriverti al canale ed esplorarlo, per vedere se ti aiuta a vederci più chiaro. Ne sarei davvero felice.

Gagliardo eh!

Comunicazioni e Relazioni del Settore Olistico

Comunicazioni e Relazioni dei Professionisti del Settore Olistico

Presentazione

Ciao.

Io sono Alessandro e questo è IL VALORE RELAZIONALE.

Una volta su “il valore relazionale. com” , e adesso su valorel.net, più breve e facile da ricordare.

Oggi, ti parlo di Giampaolo. Che aspira ad essere un operatore olistico, professionista.

Fa massaggi con una tecnica particolare il Giampaolo. Tecnica che ha imparato da un tizio, che dice di averla messa a punto, dopo anni d’intuizioni.

Giampaolo considera questo tizio come suo Maestro. Perciò lo tiene in grande considerazione.

Non solo per quanto riguarda la tecnica di massaggio, ma più come un mentore a 360 gradi.

Però Giampaolo chiede comunque a me, un parere su come impostare la comunicazione sui social.

Perché coi suggerimenti del suo mentore, stavolta proprio non gli riesce di trovare una quadra.

Le domande base per abbozzare la propria comunicazione

Allora io gli chiedo:

  • A chi ti rivolgi di specifico?
  • Ah. Questo massaggio fa bene a chiunque.
  • Ok. E come convinci chiunque a venire a farsi massaggiare da te?
  • Col passaparola!
  • Si ma da chi partiresti, se tu potessi scegliere? Con chi più ti piacerebbe lavorare? Con gli atleti? Con degli artisti forse? Degli attori?
  • Qual’è la categoria di persone a cui ritieni di poter essere più utile?
  • Mi sa che non ci ho mai pensato, in modo così preciso.
  • Bene! Sono contento di averti introdotto a un nuovo percorso logico allora. È bene svilupparlo a puntino, perché una volta definito con chi ti piace lavorare, è utile capire a cosa costui ambisce, da cosa è frustrato e cosa lo spaventa.
  • Poi cercare di rilevare chi e cosa lo influenza, quando prende una decisione importante.
  • E quali sono i suoi valori di riferimento. Perché così ci possiamo immedesimare in lui. Possiamo capire quali convinzioni gli impediscono di accogliere i tuoi messaggi, e lo aiutiamo a metterle in discussione.
  • Ma come? Con una serie di comunicazioni atte a trasformare ciò che, nella sua mente, lo tiene lontano da te.
  • E tali comunicazioni sono assimilabili a tanti piccoli e facili passi, in relazione tra di loro, che piano piano aumentano il livello della sua disponibilità, nei tuoi confronti.
  • Ma mettiamo un attimo da parte questo. Perché non mi racconti, invece, come avevate progettato la promozione tu e il tuo Maestro? Qual era la vostra idea?

E mi racconta che, in sostanza, l’idea del suo Maestro era quella di fornirgli un videomaker di fiducia, per registrarlo, in una video testimonianza, di come il massaggio che Giampaolo pratica gli ha cambiato la vita in positivo.

Quando il disagio è prezioso… è presagio

Giampaolo ci prova, ma si sente a disagio con quel tipo di comunicazione. E forse ne ha ben donde.

Infatti:

  • se Giampaolo è un testimonial a disagio di fronte a una videocamera, allora chi è il beneficiario della testimonianza?
  • È solo timidezza quella che si esprime in quel disagio, di fronte alla telecamera?
  • O c’è anche un presagio di un contesto più ampio, che finora gli è sfuggito?

E infatti poco tempo dopo mi confessa un dubbio:

“Ma il mio Maestro, sostiene la mia realizzazione come dice, o sono io a sostenere la sua, mio malgrado” ?

Domanda sana secondo me!

Perché ti racconto questo?

Perché nella mia attività di facilitatore dello sviluppo di modelli di comunicazione efficaci, è emerso un tema ricorrente, negli ultimi 8 mesi.

Proprio coi professionisti del settore olistico.

Il tema del contrasto!

Tra cosa?

Te lo dico dopo la sigla!

In questo video parlo di un contrasto.

IL CONTRASTO

FRA LE COMUNICAZIONI E LE RELAZIONI

DEI PROFESSIONISTI DEL SETTORE OLISTICO

I quali comunicano, coi loro potenziali clienti.

Mentre coi loro già clienti invece, ci si relazionano.

Le comunicazioni sono unilaterali, e spesso si rivolgono a molti.

Le relazioni invece sono reciproche e per questo sono bilaterali o multilaterali.

Va tenuto conto che, molto spesso, la relazione si instaura tra singoli.

Se non altro perché, se già è complicato gestirla tra singoli, figuriamoci in gruppo.

Ed è proprio questa difficoltà a gestire le relazioni all’interno di un gruppo, che stimola la creazione di altre sottocategorie della relazione.

Altre modalità, altre opzioni possibili.

  • La relazione simmetrica: dove tutti hanno pari livello di autorevolezza.
  • E la relazione asimmetrica, dove c’è qualcuno che ha più autorevolezza di altri.

Allora abbiamo:

  • le relazioni all’interno di un gruppo,
  • Abbiamo la relazione simmetrica,
  • quella asimmetrica,
  • Abbiamo chi nel gruppo ha più autorevolezza e abbiamo chi ne ha di meno…

E Sim Sala Bim, in quattro e quattrotto ci troviamo fra le mani tutti gli ingredienti di una questione di POTERE!

Saper riconoscere il potere

E quindi è un vero peccato che per molti operatori olistici sembra essere difficilissimo, accogliere con sobria responsabilità, il potere conferitogli dal loro ruolo.

Quale ruolo?

Quello di chi si propone ai suoi clienti in qualità di relazione d’aiuto e supporto.

C’è chi ne abusa senza esitazioni, c’è chi nega di avere un potere, e chi unisce le due cose in una sola.

Sono davvero in pochi a riconoscere che si esercita un potere, ogni volta che si agisce nell’ambito, di una relazione d’aiuto.

Perché in pochi si rendono pienamente conto che, dal momento in cui si assume una relazione d’aiuto, si diventa la fonte dei rinforzi, positivi o negativi, delle persone che si rivolgono a noi.

Molti non se la sentono di assumersi questa responsabilità.

Non c’è niente di male, hanno di certo le loro ragioni.

È soltanto che io mi chiedo:

Nel mentre che non trovano la strada verso la loro responsabilità, perché non si dedicano a un lavoro diverso?!

Qualcosa che gli EVITI di avere a che fare con le profondità più intime degli altri?

Sia chiaro!

Il più delle volte queste persone non hanno nessuna intenzione di nuocere, deliberatamente, al loro prossimo.

Sapere cosa ci si aspetta dal proprio lavoro

È solo che non sono coscienti fino in fondo, di cosa si aspettano di ricevere, dall’esercizio del loro lavoro.

Di conseguenza non sono coscienti nemmeno di tutti quei bisogni che stanno dietro a quelle aspettative.

E questa condizione, una volta che entra in gioco in una relazione con un cliente, fa decisamente percepire il suo peso.

Ma non tanto all’operatore olistico, proprio al cliente, che quindi non si sente ascoltato, né capito, e perciò non torna, né passa parola.

E come potrebbe essere altrimenti, in una relazione d’aiuto, in cui i bisogni del cliente sono messi in secondo piano, da quelli del professionista.

Diventa disfunzionale!

Il massimo del risultato è che, il cliente, revisiona sotto una luce più critica, anche le impressioni positive ricevute in passato.

Proprio come Giampaolo col suo Maestro!

Mi è dispiaciuto, constatare una diffusa resistenza, da parte degli operatori olistici, a guardare alla propria proposta commerciale, con gli occhi e soprattutto la mente, dei loro clienti.

A dirla tutta, la resistenza riguarda anche, considerare la propria, una proposta commerciale.

Ma li, gli tocca di cedere in fretta.

Tu vuoi essere pagato o lavorare pro bono?

Perché se ti fai pagare la tua è una proposta commerciale. Anche tu vendessi l’immacolata concezione.

Soprattutto, vendessi l’immacolata concezione.

Empatia e manipolazione

Ma tornando alla riluttanza ad osservare la propria proposta con gli occhi e la mente dei propri potenziali clienti, viene spontaneo chiedersi se queste persone sappiano provare empatia.

Dato che dovrebbe essere requisito fondamentale del loro mestiere.

Sarebbe una semplificazione pensare che non ne siano realmente capaci.

La realtà è più complessa e non posso dirimerla tutta in questo video.

Accenno solo al fatto che empatia e manipolazione sono due poli che si attraggono. E spesso si incontrano nel settore formativo, nei corsi.

E poiché la manipolazione funziona con meccanismi, che sono l’opposto della comunicazione efficace, si verifica un fenomeno curioso e interessante.

  • Poiché gli operatori olistici sono persone tendenzialmente empatiche, che hanno frequentato ambienti formativi per anni.
  • Poiché questi ambienti sono spesso intrisi di aspetti manipolativi, legati alle figure carismatiche che li tengono in piedi, le quali tendono a giustificare la loro realtà con filosofie astratte, esotiche, abbinate a meccanismi di ingroup e outgroup.
  • Allora il momento in cui ci si dedica alla costruzione di una comunicazione efficace, è inevitabilmente il momento dove saltano tanti altarini.
  • Altarini del presente, del passato… e a ben guardare anche quelli del futuro.
  • Dove tocca di mettere in discussione i pattern di comportamento acquisiti senza accorgersene, e perciò non rielaborati fino in fondo.

E se per qualche motivo, per quegli altarini, per quei pattern, si nutre attaccamento, ciò che sará rimandato a data da destinarsi sarà, certamente, la costruzione efficace di una comunicazione efficace.

E no, la mia non è una ripetizione a caso. Perché, se osservi con attenzione, puoi riscontrare da te che esistono frotte di professionisti, impegnati strenuamente, nella costruzione inefficace, di una comunicazione efficace.

L’incongruenza sistemica non è un caso e la dissonanza cognitiva risulta funzionale nelle realtà manipolative.

Per la stessa ragione per cui un lavoro perennemente incompiuto risulta così funzionale nella manipolazione del mercato degli appalti, per fare un parallelismo.

Ma per semplificare basta pensare a cosa succede quando la possibilità di praticare una data tecnica è legata al riconoscimento e alle certificazioni di organizzazioni gestite dai personaggi carismatici suddetti.

Io sono un appassionato di pratiche olistiche sin dall’adolescenza. Pratico cose da oltre 25 anni. Per qualche tempo è stato anche il mio lavoro principale.

Quindi ritengo di conoscere molto bene il settore, con le sue molte luci e moltissime ombre. Ed a riguardo ho una visione molto disincantata.

Detto questo,  il mio consiglio per gli operatori olistici è il seguente:

Non è il caso di sforzarsi di fare pace col fatto che, nella maggioranza dei casi, chi approccia al mondo olistico lo fa quando sta male, per trovare un qualche tipo di conforto, rifugio, consolazione?

Noi del mondo olistico, mi ci metto dentro anche io, siamo tutti gente che, in qualche modo, ha dovuto raccogliere i pezzi. Personalmente, diffido da chi se ne vergogna.

Per contro la domanda è:

una volta ristabilita una certa integrità, non è il caso di resistere alla tentazione di spargere sollievo, con le tecniche più disparate, per darsi il tempo e il modo di sperimentarsi come individui, un poco morti e un poco rinati a se stessi?

Perché non la lasciamo decantare un pochino questa crescita personale?

Perché non darsi l’opportunità di distinguere la sostanza dal superfluo?

A volte mi sembra che, rinforzate a fatica le fondamenta, di quella bifamiliare che non ha retto al terremoto, ci si affretti a costruirci sopra un grattacielo, per monetizzare.

Lo capisci che in una situazione simile, da fuori, salta proprio all’occhio che c’è un’urgenza nascosta là sotto, a fare pressione, oltre ogni livello di buonsenso?

Come puoi pretendere che le persone ti si affidino serene e a frotte, quando tu sei il primo a essere in conflitto coi tuoi bisogni?

Che sia il caso di ridimensionare i propri progetti?

Secondo me si.

Se non altro per evitare futuri disastri e relative vittime.

Per chi ha il coraggio di farlo c’è un dopo, in cui si riconosce senza eccessivi patemi d’animo sia i propri bisogni, sia il potere, sia la responsabilità, nei confronti delle persone che a noi si affidano.

Se sei in questa fase;

Se te lo senti addosso questo coraggio, e se sei disposto a vigilare su te stesso, per cercare di evitare inutili sofferenze ai tuoi clienti; allora questo contenuto ti può essere molto utile.

I due concetti da appuntare sul taccuino

I due concetti principali per seguire il ragionamento sono che:

  1. La comunicazione è univoca e si rivolge ai molti.
  2. Mentre la relazione è reciproca e avviene tra le parti.

Si, è inesatto, è impreciso, ma permette un distinguo utile a tutti quelli che operano a fasi alterne fra gruppi e singoli. A chi deve fare spesso lo switch tra comunicazione e relazione.

Un distinguo utile a fare che cosa?

  • Ma a proteggere i propri clienti dalla tentazione di strumentalizzarli.
  • A evitare delle pericolose promiscuità.
  • Ad auto limitare il potere di suggestione del proprio carisma personale.

Forse si può usare a vantaggio di tutti, la comunicazione per la relazione.

Ma usare le relazioni in funzione della comunicazione, finisce spesso con lo sminuire il valore di qualcuno.

Finisce che si sacrifica il singolo in funzione dei meccanismi di gruppo. Non è una cosa che merita di essere approfondita in un epoca in cui tutti siamo potenzialmente direttori di mass-media?

Si, perché se ti proponi al prossimo come facilitatore della SUA crescita personale, allora il compito di proteggerlo da te stesso è in buona parte tuo.

E un bel trucco per facilitarti questo onere è quello di prendere le distanze dalla definizione di “insegnante”.

Lo so che a essere chi insegna è più facile posizionare se stessi dalla parte di chi riceve la parcella, e l’Altro dalle parte di chi la paga.

Però è anche vero che se conquisti la mente dei tuoi clienti col brand positioning d’assalto, l’unica crescita a concretizzarsi nel breve, medio periodo, sarà quella del tuo conto in banca.

Ti pare poco? Qualcuno avrà pensato.

A me francamente si.

Perché la tua promessa di mercato riguarda LA LORO CRESCITA PERSONALE.

Quella dei tuoi clienti!

E se sul lungo periodo disattendi quella promessa, addio BRAND POSITIONING!

E a quel punto resisti al mercato solo se sei paraculato.

Ma puoi provare a prendere in considerazione che, se tu puoi strutturare la condivisione di parte del tuo sapere, i tuoi clienti possono strutturare la condivisione di parte dei loro soldi. Non è così?

E di passaggio, ti ricordo che se vuoi vedere realizzati più video come questo, puoi iscriverti al canale, attivare la campanella e si, anche diventare un Patreon.

Per dare quel sostegno economico, così fondamentale per lo sviluppo di un progetto nel tempo.

E di cui anche io ho bisogno, si, certo.

Allora, tornando al ”condividere invece che insegnare”, è vero o no che se riesci a rinunciare ad essere quello che insegna, dai più valore a quelli che imparano?

Evitare di conferirti il ruolo d’insegnante, non ti costringe a ragionare su quale sia il valore di ciò che proponi, per i tuoi clienti?

Esprimi le tue sensazioni a riguardo nei commenti, per favore!

Condivisione e Brand Positionig Olistico

Secondo me, condividere invece che insegnare è come viaggiare con le ruote maggiorate, invece che con le stradali.

Vai più lento, ma vai su qualsiasi terreno!

Ecco perché CONDIVIDERE, mi sembra più prolifero che insegnare:

Perché fornisce protezione dalla propria vanità.

Darti dell’ insegnante può spingerti a relazionarti col singolo, solo per dare uno spettacolo al tuo pubblico.

Uno show che porta il tuo nome. E che in sostanza è più votato all’intrattenimento che alla crescita personale.

E che ha un effetto collaterale quasi inevitabile. La produzione di mere comparse e di capri espiatori!

Saranno loro ad essere espulsi dai tuoi scarichi, assieme a tutti gli effetti negativi delle incongruenze che tu metti in atto.

I tuoi clienti più smart però se ne accorgeranno e ti pianteranno in asso!

Ti rimarranno gli altri.

Se sono il target che desideri per te stesso… e se sei paraculato, in qualche maniera la sfangherai comunque.

In questo caso … in culo alla balena!

In ogni caso, teniamoci in contatto!

Tenendo conto che, fortunatamente, esistono modalità più efficaci, rilassate e coese, di vivere la crescita personale.

Modalità in cui si può evitare ogni repressione, incoraggiando l’espressione.

Gagliardo eh!

ter your text here…

Neuromarketing #1– Davvero?

Introduzione

Benvenuto sul canale, IL VALORE RELAZIONALE.Io sono Alessandro e oggi parleremo di neuromarketing e segmentazione.

Neuromarketing e  Segmentazione

Una strana richiesta

La settimana scorsa mi contatta un membro della mia rete su Linkedin. È un competitor per il quale nutro una certa stima.Mi invia un link a un post e mi chiede un parere. Ne sono onorato.La tesi del post è che” il neuromarketing è tutto tranne che manipolazione”.Un titolo che somiglia a un militare tedesco a inizio anni 50, in visita a una sinagoga:”Molto piacere. Mi chiamo Hans. Sono tedesco.Faccio il militare da 15 anni e non sono nazista!Nein, nein, nein, nein”!

Un articolo dozzinale

Ti riassumo l’articolo per essere più chiaro!”Il neuromarketing è ricerca, conoscenza e cosa buona e giusta.Se anche tu, come la grande azienda A o l’istituzione famosa B, ti rivolgi a un’ agenzia C, capace di applicare il neuromarketing alle tue campagne, ottieni più risultati, e cambiamenti positivi nella società.Una certa fetta della società sarà quindi più propensa ad identificarsi nei valori del tuo brand.E questa non è manipolazione. Nein! nein! nein! nein!Si capisce meglio cosa intendo?Dire una cosa è un conto, comunicarla è un altro!Ci fosse stato un caso studio almeno!

Il didascalismo moralista di un copy scadente.

Parafrasando Robert Mckee:

Quando la tua premessa è un’idea che senti di dover dimostrare al mondo e progetti la storia come se dovesse essere la irrefutabile certificazione di quell’idea, stai già rischiando di diventare didascalico.Perché nel tuo zelo di persuadere, soffocherai la voce dell’Altra Parte.Abusando dell’arte per predicare quindi il tuo copy diventerà una tesi, un sermone vagamente mascherato, in cui tenti di convertire il mondo.Questo nasce dall’entusiasmo ingenuo di credere che la narrazione possa essere usata come un bisturi, per asportare i mali della società.

Nel mio lavoro anche io mi occupo di marketing e non ho nessun problema ad affermare che tutto il marketing è manipolazione.E che cos’è che tutto il marketing manipola?Ma la propensione all’acquisto dei possibili clienti. Può farlo direttamente o indirettamente, ma lo fa!O c’è qualcuno che sgancerebbe fior di quattrini per una campagna che non serve a nulla?Quando agisci su una cosa per modificarla da com’è, la manipoli. Punto.Senza dare accezioni né positive né negative al termine manipolazione.Però è vero anche che io scelgo il come, scelgo lo stile con cui favorire questo cambiamento.Posso scegliere di farlo senza che il potenziale cliente lo sappia!Oppure posso coinvolgerlo e chiedergli il permesso!

“Ah, dici che il marketing è manipolazione! Beh in un certo senso è vero!Possiamo avere uno scambio sincero a riguardo! M’interessa il tuo punto di vista!Cosè che ti fa dire cosi del marketing”?

Se faccio così potrei avere la fortuna di una critica motivata, quindi preziosa, come quella fatta da MoreThanTech nel video qui sotto:

È quello che ti può accadere quando evolvi la tua comunicazione a una forma di relazione e perciò la costruisci rinunciando a monte, al vizio di forzare le idee dell’Altro.

Comunicare per relazionarsi – Non comunicazione fine a sé stessa

La relazione con il tuo cliente diventa il luogo in cui le idee di entrambi trovano spazio, evolvono.Non perché una uccide l’altra, ma perché l’una nutre l’altra.Le convinzioni rigide del cliente non nascono necessariamente da un’ignoranza da colmare con la didattica.Nascono dalla consapevolezza che le buone intenzioni di Einstein non hanno impedito gli sganci delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki.E lui era Einstein.Nascono dal fatto che le belle parole di Zuckerberg non hanno riparato i danni di Cambridge Analytica!Qualcuno capace di sostenere che li il Neuromarketing non c’entrava?Nascono dal fatto che ogni giorno registriamo una mole schiacciante di cambiamenti legati alle tecnologie di profilazione che rendono il problema del potere della manipolazione sociale, molto sentito! Soprattutto se è esercitato in funzione degli inserzionisti!Talmente sentito che NETFLIX ha inserito un documentario apposito nel suo palinsesto: “THE SOCIAL DILEMMA”.E se lo ha fatto NETFLIX dovrebbe essere chiaro che, negare l’esistenza della manipolazione, intrinsecamente al marketing, non ha senso neanche dal punto di vista del marketing stesso.Mi sembra lapalissiano, ma se proprio uno vuole negare…allora: nein, nein, nein, nein!

Riassumendo quindi, dal mio punto di vista:

il marketing è manipolazione della propensione all’acquisto, e negarlo è controproducente!E perché è controproducente?Perché la negazione conduce a falsi assunti sulla realtà!E se io interpreto i dati raccolti attraverso dei falsi assunti, realizzo una segmentazione della clientela totalmente inadeguata.Le etichette e i tag non corrisponderanno davvero alle caratteristiche del cliente.La conseguenza di ciò sarà l’invio di comunicazioni sbagliate al cliente sbagliato, al momento sbagliato.È il brand depositioning.

Per esempio. Quando ho spiegato a questo mio competitor che, dal momento che non avevo trovato interessante quel post, non pensavo di essere il target giusto per quel contenuto, lui ne ha ricavato che io sarei una persona contraria alla dipendenza da agenzie e sempre favorevole all’autonomia.E si è premurato di rassicurarmi circa il fatto che hanno in calendario contenuti utili anche per persone come me.

Come me!

<p “=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Peccato che io non ho proprio niente in contrario all’affidarsi a un’agenzia o a un professionista!Sono io stesso un professionista del settore!Mi ha categorizzato attraverso un falso assunto! E mi arriveranno ancora comunicazioni per me noiose ed inutili!

    <li “=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Ma allora… Perché non me lo ha chiesto? <li “=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Perché non ha verificato se aveva capito bene, prima di porsi nei mie confronti come se davvero io corrispondessi al tag che lui mi ha assegnato? <li “=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>È così che funziona la sua segmentazione? <li “=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>È così che il suo neuromarketing dovrebbe condurre a risultati rilevanti? <li “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Ma secondo te che mi stai ascoltando, perché i bravi venditori e negoziatori si prendono la briga di riformulare, a parole proprie, quello che i clienti dicono?

<p “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Ad esempio: <blockquote “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>

“Mi sembra di capire che preferisci l’autonomia alla delega all’agenzia. È corretto”?

<p “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Lo fanno perché, se io, possibile cliente, ho la sensazione che il professionista mi abbia inserito in una categoria merceologica in cui non mi riconosco, mi viene naturale sospettare che parli di neuromarketing solo perché è una parola che sto mese è su Google Trend!E se è vero che, come dice, sta analizzando la mia risposta neurale:

    <li “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Com’è che sembra non ricevere i miei segnali di perplessità? <li “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Che valore mi arriva dai suoi messaggi? Quello che può darmi col suo lavoro o quello che vuole ottenere con nuovi ingaggi?

<p “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Si capisce quello che intendo? Me lo fai sapere nei commenti per cortesia?Io lo capisco che la frenesia porta a fare errori anche ai migliori. Però temo che stiamo smarrendo i fondamentali. <h3 “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>Recuperare i fondamentali della relazione <p “=”” =””=”” style=”text-align: left;” tve-droppable”=””>La frenesia da conversione non dovrebbe menomare l’ABC della relazione, allo scopo di compiacere le richieste implicite di un algoritmo.Quando si scrive un messaggio privato a qualcuno su LinkedIn non sarebbe meglio chiedersi:

  • perché sto contattando questa persona?
  • Apprezzo davvero quello che fa, penso davvero di potergli essere utile, o sto solo cercando qualche like e qualche visualizzazione in più?

<p “=”” style=”text-align: left;”Io ho notato una cosa:brbrPoiché il marketing usa le parole in base alla loro popolarità, per ottenere conversioni, finisce spessissimo con l’inflazionare se stesso e le parole che usa.brbrQuindi finisce spesso col parlare di tutto e di niente!brbrLo avete visto il mio video sulla a href=”https://backupilvalorerelazionale.local/2021/07/05/breve-storia-del-marketing/” target=”_blank” style=”outline: none;”storia del marketing/a?brbrQuante volte la pubblicità ha dovuto rivoluzionarsi perché era diventata l’esagerazione di sé stessa?/p/divdiv style=”padding-top: 1px !important;”h3Allora facciamo un altro piccolo riassunto:/h3pspan style=”color: var(–tcb-skin-color-4);”Dal mio punto di vista il marketing è manipolazione della propensione all’acquisto. E riconoscerlo è importante:/span/pullispan style=”color: var(–tcb-skin-color-4);”per evitare banali errori di segmentazione della clientela;/span/lilispan style=”color: var(–tcb-skin-color-4);”per prevenire comunicazioni inefficaci;/span/lilispan style=”color: var(–tcb-skin-color-4);”per produrre davvero contenuti di valore per il possibile cliente!/span/li/ul/divdivp “=”” style=”text-align: left;”>Come dice Montemagno in un recente video: <blockquote “=”” =””=”” style=”text-align: left;”molto spesso non è questione di ingredienti magici, ma di girare lo sguardo nella direzione giusta!/blockquotep “=”” =””=”” style=”text-align: left;”>

E se ti occupi di ricerca di clienti e di segmentazione, è molto probabile che la direzione giusta sia smettere di voler sembrare, per forza, un figo nelle neuro scienze.Io credo che alzare l’asticella in questo settore, passi anche da qui. Tu no?

Cos’è il Marketing di Posizionamento #10 – Conclusioni

Cos’è il posizionamento

Ciao e benvenuto a Il Valore Relazionale. Io sono Alessandro e questo è il video conclusivo della playlist dedicata a “Positioning”.Positioning è un testo di riferimento in tema di marketing del posizionamento.E il posizionamento è una forma di propaganda che aiuta i brand a occupare, conquistare, una posizione specifica, dentro la mente del potenziale cliente.Proprio come se la mente fosse un territorio.

Meccanismi di difesa

Insomma, un fenomeno dal quale mi viene istintivo difendermi, perché, per gestire la mia attività, non ho bisogno di occupanti.Ci sono già abbastanza sfide la fuori, che mi troveranno anche senza che io mi vada a cercare degli intrusi.

I veri bisogni delle persone

Di cosa ho bisogno invece?

Di alleati, di sinergia e supporto. Ho bisogno di chi si colloca al mio fianco, per remare nella mia stessa direzione.Anche tu? Allora questo video è utile anche a te!Sinergia e supporto è quello che chiedo ai miei fornitori e anche quello che sono disposto a dare ai miei clienti.Per questo motivo, se potessi chiedere qualcosa al brand positioning in persona,gli chiederei di assumere la sua posizione nella mia mente domandando permesso,e di sistemarsi in maniera funzionale alla crescita della mia attività, oltre che della sua.Quello che gli chiederei è reciprocità.

Il modello prevaricante

Una comunicazione prevaricante può infatti portare a risultati incredibilmente veloci in termini di vendite, ma perde valore sul piano della relazione e della fiducia.Quindi può funzionare solo sul breve periodo.In ogni caso, io non sono il cliente giusto né il fornitore giusto, per chi assume quel tipo di comunicazione.Non voglio essere trattato come Pavlov faceva con i suoi cani. E non voglio essere un Pavlov per i miei clienti.Se individuo una vulnerabilità in un potenziale cliente, preferisco aiutarlo a rinforzarsi che usarla a suo discapito.Con il suo permesso e con un adeguato compenso naturalmente!

Caso Studio

Qualche settimana fa, ad esempio, ho assistito un mio cliente in un incontro con un suo possibile fornitore.

Situazione iniziale

La possibile azienda fornitrice è nata come la maggior parte delle aziende italiane.Un dipendente di un’azienda consolidata che si licenzia e coinvolge amici e parenti in un’avventura commerciale atta a fronteggiare l’ex datore di lavoro.

Incidenti di percorso

Un faccia a faccia, un duello combattuto con lo stesso identico prodotto, e qualche miglioria tecnica.Ma, la nuova azienda, si è data un nome che corrisponde a quello di un film molto ricercato su Google.E così facendo ha spedito il proprio sito alla terza o quarta pagina dei risultati di ricerca.Si è dotata di prezzi in linea con quelli dei suoi competitors, ma senza offrire nulla in termini di garanzie e servizi post vendita.È oggetto di un attacco legale da parte del vecchio datore di lavoro di uno dei soci fondatori!E il nome del prodotto di punta è lo stesso di un noto fashion brand, ma modificato di una vocale!Questa azienda è convintissima che investire sulle migliorie tecniche sacrificando il marketing sia sinonimo di “avere i piedi per terra”.

Ripercussioni sul modo di intendere i rapporti

I suoi responsabili non hanno minimamente sospettato che la conversazione che ho intavolato riguardo al marketing, non era atta a vendergli i miei servizi.La mia conversazione aveva lo scopo di far emergere le ragioni per le quali il mio cliente avrebbe dovuto preferire il loro prodotto a quello di aziende consolidate.O a far emergere eventuali ragioni per le quali star loro commercialmente alla larga.Ma io non stavo cercando di fargliela sotto al naso.Io stavo cercando di spostare la modalità di conversazione oltre il binomio “io vinco tu perdi” , oltre la conflittualità “torto-ragione’.’In sostanza io gli stavo chiedendo: “Perché il mio cliente dovrebbe scegliere te e il tuo prodotto”?

Vittorie di Pirro

È stato tragico e divertente allo stesso tempo, osservare una di queste persone rispondere,scrivendo su un foglietto la parola “PREMATURO”, e passarlo al mio assistito, facendolo scorrere sul tavolo.Senza rendersi minimamente conto di avere appena qualificato il suo stesso modello di business.Me lo ricorderò per sempre!

Il Business e il senso del tragicomico

È stato come guardare un pistolero alla Clint Eastwood, estrarre l’arma, spararsi negli attributi, soffiare sulla fumante e dirigersi fiero di sé verso il tramonto, sulle note di Ennio Morricone.Certo che mi dispiace per il suo dolore, ma ci vedo anche del comico nella boria e nello scrupolo con cui un uomo costruisce la sua stessa caricatura.E a proposito di fallimenti, io in questo caso non sono riuscito a comunicare a queste persone il valore della mia disponibilità, e neanche quello di un marketing più accorto.Ma la mia priorità era rendere servizio al mio già cliente, che mi ha ringraziato tantissimo per averlo aiutato ad evitare le seccature cui sarebbe andato incontro stringendo affari con loro.Mi sarebbe piaciuto di più essere d’aiuto anche ai suoi possibili fornitori.Ma ho espresso disponibilità, dato loro valore, attraverso dei suggerimenti gratuiti e chiesto permesso di agire in sinergia.Loro hanno rifiutato, anche se il prodotto in vendita era il loro, non il mio.

Il profondo rispetto per l’autolesionismo altrui

È un fatto che io ho scelto di rispettare per quello che è.Perché come è fastidioso che altri occupino la tua casa senza il tuo consenso, così vale anche per l’occupazione della tua mente!È lo stesso motivo per cui si finisce col detestare i tormentoni estivi! Ti entrano nella testa senza chiedere permesso!E allora è controproducente fare fatica solo per farsi detestare. A quel punto meglio porgere saluti e ringraziare.Forse è un muro incrollabile, forse è solo il momento sbagliato.

La rilevanza sacra del chiedere permesso

In ogni caso il modo in cui ottieni il consenso di occupare la mente del cliente stabilmente, definisce il tuo stile di comunicazione.Solo se hai chiesto permesso e lo hai ottenuto, puoi mirare allo sviluppo di uno stile di relazione sano.Se invece la tua comunicazione è pretestuosa, se ti atteggi a cowboy del business, allora ti sei convinto di poter vincere sempre, il che è già sintomo di una strategia sbagliata.

Perché scegliere con chi si e con chi no.

Non è sano fare affari con tutti. E’ sano imparare a scegliere.Diversamente ti attirerai le reazioni di chiusura, diffidenza e insofferenza dei tuoi clienti e fornitori, per accorgerti un giorno di esserti impantanato nell’anonimo e freddo brusio dell’opportunismo.Gagliardo eh!

Marketing del Posizionamento #6

Strategie per mantenere la leadership Buongiorno e benvenuto a “Il valore relazionale”. Io sono Alessandro Barison e questo video fa parte di una serie che si ispira al testo Positioning. Un classico del marketing. Ma dove dorme il gorilla di 400 KILI? Ovunque voglia! Jack Trout e Al Reis usano questa metafora per spiegare che … Leggi tutto

Marketing del posizionamento #5 – Mercato, leaders e alternative

Cos’è il marketing di posizionamento #5 Buongiorno e benvenuto su “Il valore relazionale”. Io sono Alessandro Barison e questo video fa parte di una serie che si ispira all’esperienza di lettura del testo Positioning, di Al Reis e Jack Trout. Un classico del marketing. Come funziona la mente umana? Secondo gli autori che ho citato, … Leggi tutto

Marketing del Posizionamento #4 – Breve storia del marketing

Marketing – L’era dei prodotti

Secondo Al Reis e Jack Trout negli anni Cinquanta, la pubblicità si trovava nell’era dei prodotti.

Per diversi aspetti, questi erano i bei vecchi tempi in cui la “migliore trappola per topi” e un po’ di soldi per promuoverla, erano tutto ciò di cui avevi bisogno per vendere.

Era un periodo in cui i pubblicitari concentravano la loro attenzione sulle caratteristiche del prodotto e sui vantaggi per il cliente.

Cercavano la “Proposta di vendita unica”. La famigerata Unique Selling Proposition.

Ma alla fine degli anni Cinquanta, la tecnologia iniziò ad alzare la sua mostruosa testa, ed è diventato sempre più difficile stabilire quella “USP”.

La fine dell’era dei prodotti è arrivata con l’ eccesso di prodotti.

Perché la tua “migliore trappola per topi” era rapidamente seguita da altre due che gli somigliavano.

Entrambe affermavano di essere migliore della tua. La concorrenza era spietata e quasi mai era onesta.

Marketing – L’era dell’immagine

La fase successiva è stata l’era dell’immagine.

Negli anni 60 e 70 le aziende di successo avevano scoperto che la reputazione, o l’immagine, era più importante nella vendita di un prodotto, rispetto a qualsiasi caratteristica specifica del prodotto stesso!

E non è mica difficile immaginare perché, in mezzo a tanti prodotti tutti uguali, una buona reputazione potesse fare la differenza.

Ma proprio come l’eccesso di prodotti ha ucciso l’era dei prodotti, l’eccesso di buone reputazioni, ha ucciso l’era della reputazione.

Poiché ogni azienda ha cercato di dare una bella immagine di sé, il livello di rumore è diventato così alto che relativamente poche aziende ci sono riuscite.

E fa un poco sorridere che di quelle che ce l’hanno fatta, nella maggior parte dei casi lo dovevano ad uno straordinario bagaglio tecnico dei loro prodotti.

Non di certo a una straordinaria campagna pubblicitaria.

Vedi Xerox e Polaroid, per esempio.

Marketing – L’era del posizionamento

Di conseguenza i pubblicitari, entrano negli anni 80 adottando un approccio più prosaico.

Considerano i punti di forza e di debolezza di un’azienda cliente, considerano quelli dei suoi concorrenti ed elaborano una strategia.

Con l’obiettivo di far percepire l’azienda cliente come leader di un settore, da una nicchia profittevole di clientela.

Lo scopo è trovare un mondo, un mercato, un contesto in cui essere primi.

E con questo, a mio avviso, danno i natali a uno dei concetti più fraintesi del marketing. La differenziazione.

Perché non si tratta di operare in maniera diversa in un dato contesto per farsi scegliere!

Campa cavallo che l’erba cresce!

Si tratta di inventare un contesto differente in cui essere unici!

Questo si che è interessante!

Tenendo bene a mente questo, consideriamo alcuni esempi del testo, Positioning.

La lezione di marketing di Amerigo Vespucci

IBM non ha inventato il computer. Sperry Rand l’ha fatto. Ma IBM è stata la prima azienda a costruire un posizionamento per l’informatica nella mente dei potenziali clienti.

Lo Sperry-Rand del XV secolo era Cristoforo Colombo.Che ha commesso l’errore di cercare l’oro tenendo la bocca chiusa.

Amerigo Vespucci no. L’IBM del XV secolo. Amerigo era 5 anni indietro rispetto a Cristoforo. Ma lui ha fatto bene due cose.

  1. Ha posizionato il Nuovo Mondo come un continente separato, totalmente distinto dall’Asia. Causando una rivoluzione nella geografia del suo tempo.

  1. Ha scritto ampiamente delle sue scoperte e teorie. E le sue cinque lettere sul suo terzo viaggio sono stati tradotte in 40 lingue nell’arco di 25 anni.

E di queste 2 cose fatte da Amerigo, vale la pena prendere nota.

Prima di morire, la Spagna gli concesse la cittadinanza castigliana e gli conferì un importante incarico statale.

Di conseguenza, gli europei attribuirono ad Amerigo Vespucci la scoperta dell’America e la chiamarono col suo nome.

Cristoforo Colombo morì in carcere.

Posizionamento, sensi e qualità. C’è una correlazione?

Poi gli autori fanno un esempio di come ha fatto un marchio tedesco a riposizionarsi nel mercato Americano, o nella mente degli americani.

Un esempio che a mio avviso racconta anche dell’altro.

“Hai assaggiato la birra tedesca che è la più popolare in America. Ora assaggia la birra tedesca che è la più popolare in Germania”.

È così che la birra Beck’s si è riposizionata prima, in America, contro Lowenbrau.

Lowenbrau, d’altra parte, ha rinunciato alla lotta ed è diventato un marchio nazionale.

Marchio nazionale che personalmente considero qualitativamente 4 spanne sopra Beck’s.

Lo dico perché quando la mente è ridotta a un postribolo del marketing, ascoltare i propri sensi può essere perfino saggio.

Perché possono essere loro a posizionare il prodotto che va bene per me, se sono io il cliente.

La concezione di quantità e qualità preserva la sua utilità anche quando si parla di posizionamento.

Non è un caso che molte tecniche di marketing che attecchiscono negli Stati Uniti, in Italia non funzionano.

Se poi si tratta di posizionare cibi e bevande usando le parole, forse i pubblicitari non hanno ancora capito bene un concetto.

Se si tratta di cibo, gli Italiani la loro lingua la sanno usare bene, ma per degustare, non per giocare con le parole.

Te “a marketer”, puoi dire quello che ti pare. Ma prima che io ti compri la cassa di birra, ne vorrò assaggiare una pinta. E se mi farà schifo, sarai il primo, nella lista dei miei mai più!

Considerazioni auree

Perché secondo me non è vero che quello che è valido nel business è valido anche in natura.

Semmai è il contrario. Quello che è valido in natura è valido anche nel business.

Non è mica la stessa cosa. Da questo lato mi pare ci sia un pochino meno arroganza!

In natura, gli stronzi prima o poi vengono a galla. E dove gli stronzi galleggiano, gli esseri umani non fanno il bagno. Vale anche nel business.

Per questo le ricette di marketing funzionano a periodi.

Poi cominciano a galleggiare!

Gagliardo eh?

Cos’è Il Marketing di Posizionamento? #3

Nei video precedenti

Il marketing del posizionamento #1

Il marketing del posizionamento #2

Imprinting e posizionamento

Secondo gli autori di “positioning” Ciò che è vero negli affari è vero anche in natura. E fanno l’esempio dell’ “Imprinting,” il termine usato dai biologi, per descrivere il primo incontro tra un animale appena nato e sua madre.

Bastano pochi secondi per fissare indelebilmente nella memoria del cucciolo l’identità del suo genitore. A meno che, nel processo di imprinting, la madre non sia sostituita.

Poco importa se da un cane, un gatto o uno spray nasale, quello per l’anatroccolo sarà la mamma naturale.

A me, l’idea di scambiare mia mamma con una lattina di birra, mi mette a disagio. Però non posso dire di non essermici mai attaccato per succhiare nutrimento.

Innamoramento, ricettività e posizionamento.

Gli autori sostengono che l’innamoramento è un fenomeno simile. Perché sebbene le persone siano più selettive delle anatre, sono meno selettive di quanto si suppone. E scrivono una frase secondo me importantissima:

“Ciò che conta di più è la ricettività”.

Due persone devono incontrarsi in una situazione in cui entrambi sono ricettivi all’idea. Lo dicono cosi, restando vaghi.

Si ma quale idea! Dobbiamo parlare per allusioni? E Vabbè.

Entrambi devono avere finestre aperte. Cioè, nessuno dei due è profondamente innamorato di qualcun altro. Cioè la posizione… mentale… diciamo… è libera.

Osano un poco di più i nostri due pubblicitari, dichiarando che il matrimonio, come istituzione umana, dipende dal concetto di chi fa prima a essere il migliore. E così gli affari.

Dicono:

“Se vuoi avere successo in amore o negli affari, devi apprezzare l’importanza di entrare per primo nella mente di qualcuno. Perché fidelizzi un cliente a un marchio di un supermercato, nello stesso modo in cui costruisci la fedeltà del partner in un matrimonio; arrivi per primo e poi stai attento a non dargli un motivo per cambiare”!

Davvero? E allora ci credo che in America ci sono più divorzi che matrimoni. Chi è che non ha almeno un motivo per cambiare il proprio partner!

Dai, stop con l’ipocrisia e lascia da parte il moralismo e il manierismo almeno adesso, che stai semplicemente guardando un video su internet!

E poi non dimenticarti che questi fanno marketing.

Se la battaglia è mentale, chi è favorito?

Citano Damon Runyan quando disse:

“La corsa non favorisce sempre il più veloce, né la battaglia favorisce sempre il più forte, ma questo è il modo di scommettere”.

E spiegano che in una gara nel mondo fisico, le probabilità favoriscono il cavallo più veloce, la squadra più forte, il miglior giocatore. Ma non è così in una gara mentale.

In una battaglia mentale le probabilità favoriscono la prima persona, il primo prodotto, il primo politico a entrare nella mente del potenziale cliente o elettore! E detto cosi sembra vero! Forse lo è davvero!

Dicono: se non sei entrato per primo nella mente del tuo potenziale cliente (personalmente, politicamente o aziendalmente), allora hai un problema di posizionamento.

Bella zio, di sicuro sei attento a formulare la frase secondo le regole del copywriting! La regola del 3 non sbaglia un colpo.

Ma andiamo avanti!

L’importanza di essere i primi.

Secondo loro, nella pubblicità, è bene avere il miglior prodotto nel tuo campo specifico. Ma è ancora meglio essere primi.

Spiegano che esistono strategie di posizionamento per affrontare il problema di essere n. 2 o n. 3 o addirittura n. 203, ma prima è meglio assicurarsi di trovare qualcosa in cui essere i primi.

Dicono che è meglio essere un grosso pesce in un piccolo stagno (e poi aumentare le dimensioni dello stagno) che essere un piccolo pesce in un grande stagno.

Anticipazioni sul prossimo video.

Poi si lanciano in un riassunto della storia della comunicazione. Che vedremo nel prossimo video.

Gagliardo eh!? Anche il galletto!

Il Marketing del Posizionamento #2 – Lo sticchio di mercato

Posizionamento.

Se hai visto il video precedente forse sai che sto leggendo POSITIONING, di Al Reis e Jack Trout, un libro che è considerato una pietra miliare del marketing.

E saprai anche che, senza uno sforzo dedicato, la pronuncia corretta del cognome Reis mi scappa da tutte le parti. Rais, Reis, Riiæs?

Comunicazione o sovraccarico? – Come aggirare il rumore di fondo.

Difetti di pronuncia a parte, io ho l’impressione che gli autori del libro non vedessero di buon occhio l’iper comunicatività che contraddistingueva la società degli anni 80.

Chissà come si sentirebbero nel 2021 allora! Dove quell’iper comunicatività è stata aumentata esponenzialmente da diavolerie tecnologiche che loro non conoscevano: il web e i cosiddetti social networks.

Dal loro punto di vista, essendo sedotta dall’idea della comunicazione, la nostra società non riusciva a valutare i danni collaterali del grande rumore di fondo che ne derivava.

Il sovraccarico dei nostri canali percettivi ha fatto si che solo una piccola parte dei messaggi ci arrivassero. Ed è davvero improbabile che siano stati quelli più importanti!

Paradossalmente, tanto negli anni 80 come oggi, nulla sembra essere più importante della comunicazione.

Senza di essa nulla sembra realizzabile e non importa quanto tu possa essere dotato.

Se la sai usare bene, invece tutto diventa possibile.

Infatti quella che viene solitamente chiamata fortuna, con buona probabilità, è una conseguenza di una comunicazione efficace!

Secondo gli autori, la comunicazione efficace è la capacità di dire le cose giuste, alle persone giuste, al momento giusto!

 

Entrare nella mente del cliente: ma che vuol dire?

Il posizionamento quindi, è un sistema organizzato, per trovare una finestra di accesso, nella mente di uno specifico qualcuno.

E si basa sul concetto che la comunicazione deve avvenire esclusivamente nel contesto giusto, al momento giusto, verso i giusti destinatari.

Il modo più semplice per posizionarsi giusti, nella mente di una persona, secondo Al Reis, è entrarci per primo.

Entrare nella mente altrui per primi, hai capito bene.

Francamente mi sembra una spiegazione un tantino riduttiva, ma secondo lui, per constatare la validità di questo principio basta porsi alcune semplici domande.

  • Come si chiamava la prima persona che ha volato in solitaria attraverso il Nord Atlantico? Charles Lindbergh.
  • Come si chiamava la seconda persona che ha volato da sola attraverso il Nord Atlantico?
  • Come si chiama la prima persona che ha camminato sulla luna? Neil Armstrong
  • Come si chiama la seconda?
  • Come si chiama la prima persona con cui hai fatto l’amore?
  • Come si chiama la seconda?

Francamente io i nomi delle 5 donne con cui sono stato me li ricordo tutti. Ma ho trovato indimenticabili anche le parentesi con Candida e Mononucleosi.

Ma Al Reis e Jack Trout sostengono che la prima persona, la prima montagna, e perfino la prima malattia venerea a posizionarsi, sarà terribilmente difficile da rimuovere.

  • Tesla nell’automotive elettrico;
  • Amazon nel commercio on-line;
  • Facebook nei social networks;
  • Apple nel settore informatico;
  • Epstein Barr nei globuli bianchi;
  • Alessandro Barison nel Valore Relazionale!

Gli autori di Positioning poi sostengono una cosa che sembra ovvia, e invece non lo è.

 

L’importanza del brand – e di dove trova il nido.

La prima cosa di cui hai bisogno per “fissare il tuo messaggio in modo indelebile nella mente” dei clienti, non è affatto un messaggio. È una mente.

Una mente vergine. Una mente che non è stata occupata…

dal marchio di qualcun altro.

Oggi diremmo uno sticchio di mercato… ah no scusate… una nicchia di mercato.

In sostanza si parla della magia che nasce tra la nicchia e sta nicchia! Si capisce?

E infatti gli autori di Positioning ritengono che ciò che è vero negli affari è vero anche in natura.

Ne parleremo nel prossimo video.

Gagliardo eh!

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